Omelia (14-05-2006)
Suor Giuseppina Pisano o.p.
Commento a Gv 15,1-8

" In quel tempo Gesù disse....", ed oggi, dice a noi, in questo tempo di Pasqua, che la nostra vita, per essere realmente feconda, deve essere intimamente legata alla sua, a Lui che è morto e risorto per noi, perché, anche noi, passiamo dalla sterilità della morte, alla vita che non ha fine, come non ha fine la vita stessa di Dio.
"Rimanete in me e lo in voi..... lo sono la vite, voi i tralci"
Son le parole dette in quell'ultima sera, durante il lungo discorso di congedo dai suoi, prima dell'arresto nel Getzemani, cui avrebbero fatto seguito, in un drammatico precipitare di eventi, la passione e morte; sono perciò parole che hanno un accento particolare, ed una particolare risonanza nel cuore dei fedeli.
" Io sono la vera vite ".
La scorsa domenica, abbiamo contemplato l'Amore misericordioso di Dio rivelato in Gesù, che si definisce, pastore buono che dà la vita per il suo gregge; non solo, ma che si identifica con la porta stessa dell'ovile, attraverso la quale i suoi fedeli entrano nella salvezza; oggi, il Signore usa, un simbolo non meno suggestivo, identificandosi con la vite...
L'immagine della vigna e della vite ricorre di frequente nella Scrittura, basti ripensare allo struggente canto per la vigna, nel profeta Isaia ( 5,1-7), e poi, ancora in Geremia, Ezechiele ed Osea; il popolo eletto è sempre paragonato ad una vigna di grande valore, una vigna amata, che il Signore cura, perché attende da essa i frutti, dei frutti pregiati, e non acini acerbi o selvatici.
Il simbolo della vigna lo ritroviamo, ancora, nelle parabole riferite da Matteo: la parabola degli operai della vigna, ( 20,1-6) la parabola dei due figli inviati a lavorare la vigna ( 21,28-32 ) e, infine la parabola dei vignaioli infedeli, che uccidono il figlio, l'erede ( 21,33-44 ), una parabola, questa, che è come l'annuncio della fine cruenta del Figlio di Dio. Egli era venuto tra gli uomini, per render fertile quella vigna amata dal Padre, ma quegli stessi uomini, pur bisognosi di redenzione e di perdono, lo uccisero mettendolo in croce.
Ora Gesù, non usa più, l'immagine della vite, e della vigna, come sinonimo del popolo di Dio, ma la attribuisce a se stesso, e, come la vite produce i suoi tralci, e questi, dalla vite prendono vita, così, quanti siamo battezzati in Cristo, siamo realmente sue membra e, in noi, circola la stessa vita del nostro Signore e Redentore, che è il nostro Dio.
Dalle parole del Cristo giunge a noi il dono altissimo della comunione, quella che viviamo, e rinsaldiamo nel sacramento dell'Eucaristia, quella che viviamo quotidianamente con una vita di grazia, fatta di preghiera e di opere, quei buoni frutti, i " molti frutti", di cui il Vangelo parla.
La vite e i tralci sono l'immagine di Cristo e dei suoi fedeli, uniti in nome di Lui, nella Chiesa, Sua mistica sposa e Suo corpo.
"La Chiesa... - scrive Luca- cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo. (At 9, 31) e, in essa, anche noi viviamo e cresciamo in comunione, rendendo visibile e presente il Risorto, ed operando secondo la sua parola.
Questa vite dai lunghi, numerosi tralci, ha bisogno del vignaiolo, che ne segua la crescita, potandola al tempo giusto.
"Io sono la vera vite e, il Padre mio, è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota, perché porti più frutto".
E' questa l'opera misteriosa del Padre, quella presenza del dolore, che ha una sua ragion d'essere, perché legata all'amore, che talvolta taglia, o toglie, ciò che non giova alla vita e alla comunione di grazia.
"Le mani di Dio – scriveva - D. Bonhoeffer – sono mani, ora di grazia, ora di dolore, ma sono, sempre, mani d'amore "
E' un po' come la storia di quel piccolo seme, che si macera nel buio della terra, ma non definitivamente, perché da lui si libera una nuova vita, che poi risplende al sole.
Allo stesso modo è il nostro dolore, e il nostro pianto, se vissuti con fede e fortezza, se accolti in pace e con speranza, diventano fecondi di vita sempre nuova, della novità che viene da Cristo, dalla sequela e dalla comunione con Lui che ci dice; "..senza di me non potete far nulla...".
Non è certo per svilire la libertà e le potenzialità della creatura umana, che il Maestro fa questa affermazione, ma per dare ad esse la giusta direzione, per accrescerle e renderle feconde, nell'ascolto e nell'adempimento della legge di Dio, una legge che nasce dall'amore e in esso si esprime e si realizza.
La conosciamo fina dalle origini: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lv. 19,18 ) e Cristo, in tutta la sua predicazione, l' ha riproposta, e, in modo unico, l' ha testimoniata, morendo per noi che, eravamo, e siamo peccatori.
Ora, risorti in Lui, sostenuti dalla forza dello Spirito, rendiamo attuale visibile, nel nostro tempo, la forza dell'Amore che salva, e che ci spinge all'annuncio del Vangelo e alle opere che esso indica di compiere, perché l'amore non è inerte, e l'apostolo Giovanni, ce lo ricorda: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità."
E' dunque l'amore, la forza della carità che viene da Dio, nello Spirito, quella che dà valore e spessore all'esistenza umana, conducendola nella via della verità, la via di Dio che è Cristo, amore misericordioso, divenuto uomo come noi.
E' sempre l'amore, come Giovanni insegna, a " rassicurare il nostro cuore " davanti al Padre, "qualunque cosa esso ci rimproveri.."
Sicuramente nessuno, davanti a Dio, è giusto, tuttavia, l'impegno ad amare, a soccorrere, a confortare, a perdonare, ci risana dalle molte fragilità, e, tutto quel che avremo fatto, nel nome di Cristo, al più piccolo degli uomini, ci introdurrà nella beatitudine eterna, nell'eterno, immutabile dimorare, con Cristo, in Dio.



Sr Mariarita Pisano o.p.
Monastero domenicano SS.mo Rosario
mrita.pisano@virgilio.it