Omelia (30-04-2006) |
don Roberto Rossi |
A tutte le genti... cominciando da Gerusalemme Il brano del Vangelo riporta l'incontro di Gesù Risorto con il gruppo dei discepoli a Gerusalemme. L'incontro con il Risorto non è facile. Gli apostoli passano da un atteggiamento all'altro: stupiti, spaventati, turbati, una grande gioia..., ma «ancora non credevano». Non è facile credere per chi ha visto Gesù catturato, condannato, messo a morte sulla croce. Non è facile credere dopo gli avvenimenti drammatici che sono accaduti. Ecco perché Gesù appare ai suoi, ecco perché lui stesso dice, mostrando loro le mani e i piedi: «Toccate e vedete». Gesù è preoccupato che lo stupore e loro spavento dei discepoli non diventino devianti, non li portino su una strada sbagliata. Egli non è un fantasma. Ha carne e ossa e può mangiare il pesce che gli viene offerto. E' preoccupato dal fatto che i suoi discepoli non riescano a comprendere bene il suo mistero di morte e risurrezione. Già coi discepoli di Emmaus aveva dovuto ripercorrere le Scritture per spiegare loro il significato del suo mistero pasquale. Ora Gesù riprende lo stesso argomento e mostra come la Parola di Dio avesse profetizzato sia il suo mistero di morte e risurrezione, sia la missione della predicazione alle genti, la loro conversione e il perdono dei peccati, cioè la salvezza di Dio. No, non è un fantasma quello che appare loro. Non è un miraggio, un'illusione quello che stanno provando. È proprio Gesù, quel Gesù che avevano ascoltato, che avevano visto agire, compiendo gesti straordinari di bontà, di guarigione, di liberazione, di perdono. È una persona viva quella che stanno incontrando, la stessa persona con la quale erano stati per tre anni, la stessa persona che avevano seguito per le strade della Palestina e che avevano tanto amato. Ciò che è accaduto è troppo bello perché possano crederci subito. Comunque Gesù non fa delle sue apparizioni un momento di ricordi, di ritorno al passato, a ciò che hanno vissuto insieme. Tutt'altro! Una volta che li ha convinti della sua risurrezione, una volta che ha ripristinato con loro un contatto vivo, Gesù li spinge decisamente in avanti. In che modo? Attraverso le Scritture, perché vi trovino una luce nuova che permetta loro di cogliere in profondità il senso di ciò che è avvenuto. La sua passione, morte e risurrezione è un compimento: c'è un disegno, dunque, un progetto che si è realizzato e questo progetto non si ferma qui. Ecco dunque una missione, un impegno che viene affidato a loro e a quelli che verranno dopo di loro: predicare a tutte le genti «la conversione e il perdono dei peccati». Ma... ne saranno capaci questi uomini fragili che sono tutti scappati via al momento della cattura di Gesù? Il compito è troppo grande perché possano farcela solo con le loro forze. Per questo viene donato loro lo Spirito Santo, perché li guidi, li sostenga, infonda loro coraggio ed energia. La strada, però, non dovranno dimenticarlo, è la stessa di Gesù: è fatta di passione, di morte e di risurrezione... L'incontro con Gesù può essere anche oggi, a distanza di duemila anni, un incontro con un «fantasma», con il Gesù che ci siamo fabbricati a nostro uso e consumo. E' la Scrittura, la Parola di Dio che ci strappa questo inganno; è la partecipazione all'Eucarestia, il mangiare con Gesù, che ci tiene uniti al popolo di Dio che cammina lungo la storia. E la prova che siamo autentici discepoli del Risorto è che non ci chiudiamo nel nostro piccolo cerchio di amici, ma ci apriamo continuamente agli altri, al mondo, realizzando la missione di Gesù che è diventata la nostra stessa missione: andare a tutte le genti. "A tutte le genti, cominciando da Gerusalemme". Il modo di portare avanti la missione a tutte le genti, non deve essere fatto di parole e vaghe aperture al mondo "lontano", ma deve essere un modo molto concreto: non fermarci e accontentarci della preghiera, della messa, ma fuori della chiesa, aprirci agli altri, andare agli altri, salutare, offrire amicizia discreta, ma vera; andare agli altri cominciando dai vicini, vivere con semplicità, rispetto, amore, cercare e instaurare relazioni di fraternità. C'è qualcuno che chiama tutto questo "la santità dei rapporti" o spiritualità di comunione, come ci ha indicato Giovanni Paolo II. Andare agli altri cercando solo il loro bene, nulla per noi, evitando ogni forma di proselitismo; cercando di leggere, stimare, valorizzare il bene che le persone già vivono e fanno nella loro ricerca di onestà e poi cercando noi e loro in Gesù Cristo e nel suo vangelo il senso pieno della vita e la salvezza terrena ed eterna. Nelle case, nelle strade, nelle scuole, negli ambienti di lavoro e del tempo libero, nei luoghi della sofferenza siamo chiamati a realizzare il volto missionario della parrocchia. Sarebbe molto bello avere davanti agli occhi i tanti esempi che ci sono in questi campi, per non ridursi sempre a dire "ma è difficile...", ma per guardare con fiducia alle persone e alle situazioni della vita sociale e portare nel cuore quel fervore che sa dare lo Spirito del Signore. |