Omelia (10-08-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Giovanni 6,41-51 Gli interlocutori di Gesù vengono chiamati per la prima volta giudei. In realtà quelli che ascoltano il Maestro sono galilei. Per Giovanni il termine "giudei" indica gli increduli, i rappresentanti tipici del mondo ostile alla rivelazione del Figlio di Dio. I giudei mormoravano come i loro padri che nel deserto mormorarono contro Dio e contro Mosé, ribellandosi al piani di salvezza di Dio (Es 16; Nm 11). La mormorazione è mancanza di fede e esprime lo scandalo dinanzi al mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. Gesù dichiara di essere disceso dal cielo, ma i farisei conoscono suo padre e sua madre; per questo si meravigliano della sua affermazione ardita. Essi ovviamente non erano al corrente dell'origine vera di Gesù; questa non si conosce con gli occhi della carne, ma con lo sguardo della fede. La ragione ultima della fede si trova nell'attrazione del Padre perché gli uomini aderiscano al Figlio suo. La citazione dei profeti: "E tutti saranno ammaestrati da Dio" potrebbe ispirarsi a Ger 31,33-34 e a Ez 36,23-27, ma il testo più vicino a quello citato da Giovanni è Is 54,13: "E porrò... tutti i tuoi figli ammaestrati da Dio". Anche qui, come in Gv 6,31, la citazione non sembra trovarsi alla lettera nell'Antico Testamento. Giovanni adatta il testo alle sue prospettive teologiche, tra le quali spicca l'universalismo della salvezza. Egli infatti non parla solo di "tutti i figli di Gerusalemme", ma di " tutti" semplicemente, interpretando la nuova alleanza in prospettiva universalistica. La fede è dono di Dio e affonda le sua radici nell'azione divina del Padre. Quindi crede in Gesù solo chi " ha ascoltato e imparato dal Padre" (v.45). Gesù, dopo aver detto che il motivo ultimo della fede sta nell'attrazione del Padre, soggiunge: "Chi crede ha la vita eterna" (v.47). La vita eterna dipende dalla fede. E la fede consiste nell'ascoltare e mangiare Gesù, che è il pane celeste che fa vivere eternamente. Dopo la solenne proclamazione di essere il pane della vita, Gesù fa il confronto tra la manna mangiata dai padri nel deserto e il pane che è la sua persona. La manna non procurò l'immortalità perché tutti nel deserto morirono, compreso Mosè, ma chi mangia Gesù non morirà mai. L'azione del mangiare indica l'interiorizzazione della parola del Figlio di Dio e l'assimilazione della sua persona con una vita di fede profondissima. Il mangiare il pane vivente che è Gesù, significa far propria la verità del Cristo, anzi la persona del Cristo che è la verità, ossia la rivelazione piena e perfetta del Padre. Nel v.51 Gesù aggiunge un nuovo elemento che preannuncia la tematica centrale dell'ultima sezione del discorso (vv.53-58): il pane della vita è la carne di Gesù per la vita del mondo. Il pane del cielo è la carne di Gesù, ossia la sua persona sacrificata per la salvezza dell'umanità con la passione e morte gloriosa. L'amore di Dio per gli uomini raggiunge la sua massima espressione nella morte di Gesù in croce: sulla croce egli dona tutto se stesso per il mondo. |