Omelia (12-08-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 18, 1-5.10.12-14 Alla domanda dei discepoli: "Chi è il più grande nel regno dei cieli" (v.1), Gesù non risponde direttamente, ma compie anzitutto un gesto simbolico, che è già di per sé una risposta sconvolgente alle loro prospettive arriviste. Ci troviamo catapultati in una comunità in cui l'ordine delle grandezze è invertito, perché il bambino accolto si rivela essere Gesù in persona: "Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me" (v.5). I rapporti tra di noi si impostano correttamente solo mediante la conversione e un atteggiamento umile verso Dio (v.3). Quando ci scopriamo poveri e piccoli davanti a Dio, allora capiamo che la domanda posta all'inizio dai discepoli non ha più senso. "Chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (v.4). Il punto di arrivo di ogni vera conversione è il diventare come i bambini. Ciò non significa ritornare nell'infanzia o, peggio, nell'infantilismo, ma mettersi davanti a Dio come bambini di fronte al padre. Questa situazione è considerata dal vangelo un'esigenza indispensabile di umiltà che permette tutte le crescite. Diventare come un bambino e percepire che il Padre ci chiama sempre a crescere, è diventare ciò che dobbiamo essere: dei piccoli, dei poveri, dei beati (v.3) che aspettano tutto dalla sua grazia. Questa "umiltà attiva", che ha in Dio la sua origine e deve stare alla base della comunità cristiana, è un cammino coraggioso verso la croce come quello di Gesù. Consiste nel prendere il posto che è realmente il nostro. Umiliarsi, diventare piccoli non è un ideale ascetico di timido nascondimento o di rassegnata sottomissione, ma un concreto servizio di Dio e del prossimo. Se Gesù si identifica con il piccolo, chi vorrà ancora essere grande? Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità cristiana è riservato a lui. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, che è il regno di Dio, devono diventare piccoli, mettendosi in atteggiamento di servizio. Dunque, per entrare nella comunità cristiana, per rimanervi e ancor più per affermarsi, non bisogna salire, ma tornare indietro (convertirsi) o discendere, non sentirsi grandi, ma farsi piccoli. Più la creatura si svuota di sé, più si rende idonea ad essere riempita da Dio. La base di misura dei cristiani non è la grandezza o la potenza, ma l'umiltà (v.4). Essa è un atteggiamento interiore che si manifesta all'esterno ed è il segreto per la buona riuscita dei rapporti comunitari. Colui che è piccolo è un vero discepolo di Cristo ed è un vero membro della comunità, perché non pone ostacoli all'accoglienza e alla costruzione del regno di Dio. Nel discorso della montagna (5,3) Matteo aveva presentato la Chiesa dei poveri, qui presenta la Chiesa dei piccoli, che è una continuazione e un ampliamento della medesima. Purtroppo, anche nella Chiesa di Dio non sempre si vive fedelmente e integralmente il vangelo. San Giacomo scriveva: "Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello", non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? Voi invece avete disprezzato il povero!" (2,1-5). Un simile atteggiamento provoca il forte richiamo di Gesù: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli!" (v.10) e l'intervento immediato del Padre in loro difesa: egli ha disposto uno schieramento di angeli a servizio e a difesa dei suoi bambini, dei suoi "piccoli". Tramite i propri angeli che vedono la faccia di Dio, essi possono far giungere fino a lui i torti e le ingiustizie che ricevono. Chi tocca i suoi "piccoli", tocca Dio. Il valore dei "piccoli" davanti a Dio è sottolineato dal riferimento ai loro angeli che vedono sempre la faccia del Padre che è nei cieli. Nella tradizione giudaica gli angeli "che stanno davanti a Dio", chiamati "angeli del volto", sono quelli di primo grado, incaricati di compiti speciali in ordine alla protezione degli eletti (cfr 1Enoch 40,1-10). La parabola della pecora smarrita ci insegna ad essere solleciti verso la sorte dei "piccoli", di considerarli importanti e di andare alla loro ricerca quando si perdono. Questa cura pastorale viene fondata teologicamente sullo stile di Dio Padre. Piccolo è colui che non conta, colui che serve. Il primo posto nella comunità è per costoro. L'autorità deve mettere i piccoli al primo posto nella sua considerazione e nei suoi programmi. E tutti, se vogliono stare nella comunità cristiana, devono mettersi in atteggiamento di servizio. Scandalizzare i piccoli è impedire loro di credere in Gesù. Il Padre vuole che nessun peccatore si perda. Lo scopo di questa parabola è di spingere la comunità cristiana, che trascura i peccatori ed è tentata di ripiegarsi pigramente su se stessa, a mettersi senza esitazione alla ricerca degli smarriti, dei cristiani che hanno dimenticato il primitivo fervore e la coerenza con gli ideali del vangelo. Chiunque è in pericolo ha la precedenza assoluta su tutto e su tutti a essere soccorso. Le parole di Gesù sottolineano ripetutamente "anche uno solo di questi piccoli" (vv.6.10.14) per insegnarci non solo a capovolgere i criteri mondani riguardo alla grandezza, ma anche nei confronti della quantità: anche uno solo conta! La parabola della pecora smarrita ci riguarda personalmente perché è la nostra storia. Qualche volta siamo la pecora smarrita, altre volte siamo mandati a cercare la pecora smarrita che è il prossimo. Possiamo sperare di raggiungere la nostra salvezza soltanto se ci preoccupiamo anche della salvezza degli altri. |