Omelia (07-05-2006)
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Commento su Giovanni 10,11-18

* Vorrei iniziare la riflessione sulla Parola di oggi ricordando le parole della colletta che il celebrante prega all'inizio di questa giornata che la Chiesa dedica alle vocazioni ed in particolare a quelle di speciale consacrazione. Sono queste:
"O Dio, Creatore e Padre che fai risplendere la gloria del Signore risorto quando nel suo nome è risanata l'infermità della condizione umana, raduna gli uomini dispersi nell'unità di una sola famiglia, perché aderendo a Cristo buon pastore, gustino la gioia di essere tuoi figli".
La colletta con cui si apre la messa riassume in forma di preghiera alcuni aspetti della Parola che verrà proclamata: oggi è la domenica in cui si legge il Vangelo del "buon pastore".

* Questo brano, che viene proclamato fa parte di un discorso più ampio che Gesù rivolge, probabilmente, ai farisei ed è reperibile interamente nel Vangelo di Giovanni in corrispondenza dei versetti 10, 1-18.
La liturgia ne sceglie una parte piuttosto piccola ma significativa: come vedremo in queste righe è densa di spunti che riguardano concretamente la nostra vita umana, il nostro vivere, le nostra scelte, la salvezza, la figura di Cristo salvatore del mondo, l'ascolto, l'obbedienza e la vocazione...
E' sempre bello riflettere sul fatto che la Parola di Dio non è scissa dalla nostra vita, è Parola concreta, è parte integrante della vita, specchio del cammino dell'esistenza del singolo e dell'umanità intera.

* Vorrei approfondire tre temi (conscia che ce ne possono essere molti altri ma ognuno, aprendo il Vangelo, può meditare questo testo e soffermarsi su un aspetto piuttosto che un altro ).
Il primo tema è la figura del buon pastore contrapposta a quella dei mercenari.
Il secondo è il legame fra il buon pastore e le pecore.
Il terzo la conoscenza delle pecore da parte del pastore e l'ascolto della sua voce da parte di queste.

Il bel pastore
* Nei primi due versetti c'è la contrapposizione fra il buon pastore (ma la traduzione letterale dal greco sarebbe "il bel pastore ") e i mercenari: la differenza fra i due è che il Pastore non abbandona le sue pecore in presenza dei lupi, i mercenari invece scappano perché le pecore non appartengono a loro, sono solo pagati per condurle al pascolo.
La ripetizione "Io sono il buon pastore" in poche righe ha un significato chiaramente rafforzativo.
Quali sono le caratteristiche del pastore?
Per noi che non facciamo parte di una società rurale il pastore è una figura, forse, meno familiare che per gli ascoltatori dell'epoca.
Tuttavia con un po' di fantasia possiamo immaginare un gregge (perché senz'altro lo abbiamo visto) che cammina dietro al suo pastore.
Questi cammina avanti, il gregge segue il cammino da lui tracciato.
Il gregge lo segue perché di lui si fida, le pecore ne riconoscono l'autorità.
Quindi il pastore è colui che, vivendo ogni attimo col suo gregge lo conduce per una strada a lui nota.
Ma il "buon " pastore ha una caratteristica ulteriore: egli sceglie di non abbandonare le sue pecore, a differenza del mercenario che le lascia in balia dei lupi.
Questa è la differenza fra ciò che passa e ciò che resta nella vita.

* Questa è la differenza fra chi ci propone ciò che è effimero e ciò che è eterno.
A questo proposito vorrei raccontare due episodi che fanno riflettere.
Un mio amico, insegnante di religione, mi ha raccontato che ogni anno, all'inizio della scuola, somministra agli alunni un test in cui chiede di classificare in ordine di importanza alcuni valori: oltre la famiglia e gli amici (come è logico pensare) tra le prime posizioni si trovano sempre il denaro, il successo sociale, la bellezza... (e si sta parlando di ragazzi che alle superiori scelgono l'insegnamento della religione cattolica...) tutti valori effimeri, destinati a scomparire.

* L'altro episodio che vorrei condividere mi riguarda personalmente, insegnando matematica, alle superiori, ogni anno in questo periodo circa spiego il calcolo della probabilità.
In particolare la probabilità dell'evento certo, quello che di sicuro accadrà e quella dell'evento impossibile, ciò che non può succedere.
L'esempio che utilizzo è la probabilità di essere morti (o vivi) fra 110 anni (non per sadismo ma perché questo apre poi tutto un campo della matematica, quella attuariale, che si rifà al settore assicurativo...): non cessa di stupirmi la paura, l'imbarazzo, le reazioni nervose dei miei diciassettenni quando si affrontano questo tipo di argomenti... il messaggio implicito ed a volte esplicito, è che sto parlando di qualche cosa di sconveniente. Ma poi, stranamente, dopo l'impatto iniziale, ogni volta qualche alunno viene a cercarmi al di fuori dell'orario di lezione e ne vuole parlare ancora...

* Perché possiamo distrarci in tutti i modi, ma i grandi "misteri" la vita, la morte, il significato dell'esistenza, sono patrimonio della storia di ognuno di noi e del nostro vivere: con questi in qualche modo, nonostante le tante cose che sembrano più importanti dobbiamo fare i conti. Moriremo tutti, il momento della nascita coincide con l'inizio del cammino verso la morte. Recentemente in un libro di Bernard Besret (teologo francese, priore di un'abbazia) ho letto queste parole: "la maggiore parte delle persone passa la vita a distrarsi: sono troppo occupati dalle loro abitudini, i loro obblighi familiari, il loro lavoro, gli ideali a cui si dedicano, per trovare il tempo di pensare al significato della loro vita. Ambulent, ambulent, ne tenebrae comprehandent. Camminano, camminano, per non affrontare le tenebre".

* Un'osservazione di Padre Ernesto Balducci che mi ha colpito è relativa al fatto che se nelle chiese, spesso e volentieri ci sono tante persone anziane non è come a volte si insinua che avviccinandosi alla morte persone pensano ad una tardiva salvezza dell'anima ma forse perché tolti i "rumori" inutili della vita, si capiscono i valori veri, si distingue il pastore dai mercenari... E si inizia a pregare, perché si riscopre Dio.
Siamo in una società che ha perso ogni dimestichezza col dolore, con la malattia, con la morte.
Rimuoviamo collettivamente tutto ciò che non è piacevole, tutto ciò che ci è sgradito, tutto ciò che ci fa capire che siamo deboli: seguiamo i mercenari.
Ma i lupi prima o poi arrivano.

* I lupi, uscendo dalla metafora, possono essere le difficoltà della vita, la malattia, la morte, ma anche la solitudine, la paura, la debolezza, la nostra finitezza, la nostra incapacità di essere migliori, quella povertà morale da cui nessuno di noi è esente, il nostro essere peccatori: i mercenari che ci hanno proposto falsi idoli possono solo scomparire.
Il loro interesse per noi non è reale, facciamo parte di un gregge che non è di loro proprietà, siamo una massa indefinita, strumento dei propri interessi, non abbiamo un nome, un volto, siamo pecore fra le pecore.
Il bel pastore è invece proprietario delle pecore: sono sue.
Non le abbandona.
Il suo è un vincolo eterno (Vi ricordate? Simon Pietro"Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. Gv 6, 68 )
I mercenari non hanno parole di vita eterna, i mercenari abbandonano, sono i "cattivi maestri" che ti hanno usato e poi scappano. Solo Dio non abbandona mai, anzi se ci allontaniamo noi. è sempre pronto ad accoglierci di nuovo.
È un vincolo eterno che si crea perché "il buon pastore offre la vita per le pecore."

Il dono della vita
* E noi sappiamo che questo è vero.
E' successo.
Cristo ha offerto la sua vita per noi.
Il buon pastore ha l'autorità per guidare le sue pecore perché l'autorità gli deriva dall'offerta della sua vita che in questo brano viene sottolineata più volte
(il verbo offrire viene ripetuto più volte in quattro righe)
Non solo, egli è venuto per tutte le pecore, non solo quelle appartenenti al suo ovile.
Col dono della sua vita, con la morte in croce egli ha redento il mondo.
"Perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, riappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle che stanno nei cieli"
(Colossesi 1, 19-20).

* Gesù non è venuto solo per la casa d'Israele ma anche per i gentili.
Non solo per il popolo eletto ma per tutti i popoli, di tutti i tempi, di ogni luogo.
Questo concetto può sembrare ovvio e quasi infastidire per la sua ovvietà...
Noi siamo cattolici quindi universali... E' ovvio!!!
In realtà se sembra banale il concetto, non sono scontate le conseguenze in termini di impegno "missionario" per ognuno di noi...
Tutti siamo mandati, il Vangelo di Marco si conclude con Gesù che comanda ai suoi: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura".
Troppo spesso ce ne scordiamo.
Cristo è morto per chi crede in lui, ma anche per chi non crede: con il sangue della sua croce ha redento il mondo intero, tutto il cosmo...
Allora in questa ottica come è assurdo che spesso le nostre comunità (parrocchie, movimenti, gruppi...) diventino come una specie di "club esclusivi"!
Come è inutile il nostro essere cristiani se non siamo capaci di testimoniare a tutti la nostra appartenenza al buon pastore!
E' chiaro che la testimonianza non è facile per molti motivi: una forma di pudore, che abbiamo tutti, il fatto che di certi argomenti non è facile parlare (di nuovo rimozione collettiva e sociale...), la paura di essere inadeguati.
Ma nel testimoniare dobbiamo credere che lo Spirito Santo è con noi, il Signore di sicuro non ci abbandona.

* Come iniziava la prima lettura di oggi?
"In quei giorni Pietro, pieno di Spirito Santo, disse..." .
E sapete dove stava testimoniando?
"Davanti i sacerdoti, il capitano del tempio e i sadducei irritati per il fatto che insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la resurrezione dei morti" (Atti 4, 1).
Quindi un uditorio di nemici, di persone ostili.
Ma Dio non abbandona Pietro, gli da la forza ed il coraggio di testimoniare.
La nostra testimonianza è senz'altro più facile (almeno apparentemente): viviamo in un paese in cui la maggioranza delle persone si dichiarano cattoliche (anche se a messa regolarmente va meno del 30% della popolazione) e questo dovrebbe essere per noi un ottimo stimolo: probabilmente il compito che ci è affidato è coinvolgere, con la nostra testimonianza, le persone alla "sequela".
Dice il Signore "io offro la mia vita per poi riprenderla di nuovo: nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo".
Per questo il Padre ama il figlio, perché liberamente accetta il commando che gli è stato dato, per questo noi siamo in relazione col Padre mediante il Figlio, per questo la croce è opera di salvezza: "Io quando verrò sarò elevato attirerò tutti a me" (Giovanni 12,32).
L'opera di redenzione, fatta da Cristo solo, è per tutti.

La conoscenza e l'ascolto

La conoscenza

"Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre"

* Nell'Antico Testamento c'era già l'idea che Dio ci conosce in quanto apparteniamo a Lui. Ricordiamo il salmo 139 in cui il salmista proclama:
"Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando mi seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri mi scruti quando cammino e quando mi riposo.
Ti sono note tutte le mie vie, la mia parola non è ancora sulla mia lingua e tu, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me è la tua saggezza, troppo alta e io non la comprendo..."
e prosegue:
"Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto,
intessuto nella profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto sono più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora..."

* Il buon pastore ci conosce, e ci accetta per quel che siamo.
Egli, a differenza del mercenario, prova amore per la nostra essenza.
Un amore tale da donarci la sua vita, un amore tale da creare un legame di conoscenza fra noi e Dio, mediante lui. Questa conoscenza del Signore deriva dal rapporto fra lui ed il Padre: rapporto di mediazione fra Dio e gli uomini, che si crea con l'offerta della vita.
Il suo amore per noi non ha limiti perché lui solo vede il nostro cuore, lui solo può giudicarci, lui solo può perdonarci, lui solo può salvarci.
Dunque la conoscenza diventa bilaterale: non solo Dio conosce gli uomini ma gli uomini conoscono Dio, con la mediazione di Gesù.
Vi ricordate le parole della dossologia alla fine del Canone? "Per Cristo, con Cristo e in Cristo,... a te Dio onnipotente ogni onore e gloria nei secoli dei secoli..."
Cristo è veramente mediatore fra Dio e gli uomini, segno della nuova alleanza.

L'ascolto
Ascolteranno la mia voce
* L'ascolto presuppone una relazione che è fra due persone .
Ascoltare vuol dire "stare a sentire con attenzione".
L'ascolto, intanto, presuppone che uno stia zitto per ascoltare mentre l'altro parla.
L'ascolto di Dio presuppone quindi una eliminazione di tutti i falsi rumori che ci circondano. Un creare una sorta di "vuoto mentale" in cui il Signore parla.
Ovvio che la prima modalità a cui uno pensa è la preghiera.
Ma non è scontato... Infatti quando Dio parla, può scegliere molti mezzi... a volte diversi da quelli che immaginiamo.
Alla base delle conversioni di adulti spesso c'è una "chiamata" che scaturisce da un silenzio... E parlo sia di adulti che scelgono il battesimo, sia di quelli che hanno abbandonato la fede ed in un certo punto della vita ricominciano un cammino dietro al Signore.
Alla base delle vocazioni (vocazione, dal latino vocare: chiamare) di speciale consacrazione c'è sempre un silenzio ed una chiamata.
Tutti possiamo ascoltare la voce del Signore: basta avere l'umiltà di provarci.
L'unico ostacolo, a mio parere, è non essere disposti all'ascolto, il credere di essere esenti dall'udire oppure il sentire e fare poi di testa propria.
Per questo è cosi difficile essere veramente cattolici, perché l'obbedienza (che le pecore possiedono) è per noi umani una virtù difficile.
Difficile delegare la nostra vita "in toto" al bel pastore che ci offre la vita eterna, ma mediante la croce.
Un Gesù non solo di gioia ed amore ma uno che nasce in una grotta e muore in croce
Ascoltare è partire da questo "scandalo" e sentendo la sua voce cambiare la nostra vita. E' più facile non appartenere e non ascoltare.
Oppure ancora più facile appartenere un po' ed ascoltare un po' (tanto l'impegno, il dono di sé appartiene agli altri: i preti, le suore, quei laici "esaltati" che sono sempre in prima fila...).

* Vorrei concludere queste riflessioni sulla conoscenza e l'ascolto con le parole di un canto che molti di voi conosceranno, si chiama "vocazione":
"Tu Dio che conosci il nome mio fa' che ascoltando la tua voce io ricordi dove porta la tua strada nella vita all'incontro con Te".
Il mio augurio è che veramente ognuno di noi in questa Domenica dedicata alle vocazioni sappia mettersi in ascolto della voce del Buon Pastore a cui ci unisce un vincolo di appartenenza e di proprietà che si perpetua nei secoli, per tutte le generazioni, che il Signore conduce, come suo gregge, verso Dio.
Mediante la croce, con cui si opera la redenzione del mondo, il vincolo diventa tale con tutta l'umanità: vincolo che scaturisce dall'effusione del Sangue prezioso.

* A noi, che per grazia di Dio, è concesso di essere suoi testimoni, preghiamo per la Chiesa che sia gregge che cammina dietro al suo Pastore unita e pronta a portare il Vangelo a tutte le genti, sempre più universale, sempre più pronta ad ascoltare il suo Signore. Preghiamo per tutti coloro che hanno fatto una scelta di speciale consacrazione: che la coerenza al Vangelo e la fedeltà al Signore siano la loro forza. Preghiamo per noi tutti che crediamo, che il Signore ci dia il dono di essere sempre "pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi "(1 Pt 3, 15), pronti al silenzio, all'ascolto, alla preghiera, e alla testimonianza seguendo con convinzione il "Buon Pastore" verso il Regno dei Cieli.