Omelia (05-05-2006)
mons. Vincenzo Paglia


La sinagoga è piena di gente e la maggior parte dei presenti guarda Gesù in modo malevolo: "Come può costui darci da mangiare la sua carne?". Parlano così perché non intendono abbassarsi a chiedere ad uno che pensano sia loro pari, non vogliono umiliarsi a confessare la loro fame, a tendere la mano come fanno i poveri e i mendicanti. Chi è sazio non chiede, chi è pieno di sé non si piega. In verità, anche se sazi e circondati di beni, di cibo e di parole, abbiamo fame, fame di felicità, fame di amore. E forse i poveri possono esserci maestri nel chiedere e nello stendere la mano. Essi manifestano quel che noi siamo: mendicanti di amore e di attenzione. Hanno fame i poveri, e non solo di pane, ma anche d'amore, e così noi. Gesù dice a tutti: "Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno". Per avere la vita non basta volere, non basta capire, è necessario mangiare. Bisogna diventare mendicanti di un pane che il mondo non sa produrre e ovviamente non sa dare. Come i poveri che chiedono pane, così siamo noi quando ci raccogliamo alla mensa eucaristica: essa anticipa il cielo sulla terra. Qui troviamo ciò che sfama e disseta per l'eternità. Gesù stesso, che ha camminato con i discepoli lungo i giorni della settimana, si ferma e mangia con noi come con i due discepoli di Emmaus.