Omelia (14-05-2006) |
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Commento Giovanni 15,1-8 * Quest'oggi chiederei a tutti di fare un piccolo sforzo di memoria e di andare, per un attimo, a scavare tra i ricordi per richiamare - alla vostra mente e al vostro cuore - i sentimenti e le emozioni che avete provato il vostro primo giorno di scuola o di lavoro, o quando avete cambiato casa e per la prima volta siete entrati in un nuovo condominio... provate, concretamente, a rifigurarvi la scena davanti agli occhi... Ripensando a quel giorno, non credo di sbagliarmi nel dire che tutti noi, tra i tanti sentimenti che abbiamo vissuto, accanto all'emozione, all'entusiasmo e alla curiosità, siamo passati anche per l'esperienza del timore, della diffidenza iniziale, del sospetto. Quando si intraprende qualcosa di nuovo, quando si devono affrontare nuove situazioni o instaurare nuovi rapporti, siano questi amicali o lavorativi, avvertiamo tutti il bisogno di conoscere e studiare le cose e le persone; cerchiamo di comprenderne il carattere, la sensibilità, le opinioni, il vissuto, per capire meglio come dobbiamo relazionarci con loro. * Se rileggiamo la pagina degli Atti degli Apostoli (I lettura) con cui si è aperta la liturgia della Parola odierna, ci rendiamo conto che questi stessi sentimenti, questo sospetto, questa diffidenza, questa paura, attanagliavano anche il cuore della prima comunità cristiana quando in mezzo a loro si presentò Paolo, il convertito sulla via di Damasco: "In quei giorni Paolo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. Allora Barnaba, lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore..." Immaginate la paura e i sospetti di quei discepoli a cui Barnaba lo stava presentando: quest'uomo, che fino a poco prima era stato un accanito ed agguerrito persecutore dei seguaci di Gesù, desidera ora unirsi a loro. È bello cogliere come, tanto Paolo quanto Barnaba, non si lascino scoraggiare da questa diffidenza iniziale ma, attraverso il racconto di come il Risorto si era manifestato a lui sulla via di Damasco e di quello che aveva iniziato ad operare attraverso la sua vita e la sua testimonianza, riescano a tessere un legame di comunione e condivisione. * Se vogliamo riportare tutto questo al nostro vissuto, è bene ricordarci ogni giorno che la comunione nasce sempre dalla comunicazione! Se non c'è dialogo non può esserci scambio! Il dialogo è quella realtà che ci spinge a porre la nostra esperienza accanto, di fronte all'altro, mossi dal desiderio di mostrargli e di condividere con lui i valori e le cose belle che in essa percepiamo e respiriamo, solo così potremo offrirgli le motivazioni per cui desideriamo che anche lui condivida la nostra esperienza. Dobbiamo imparare sempre meglio a porre la nostra parola a servizio di uno scambio di significati, di valori, di ascolto, di silenzio... Dialogare, allora, significa essere uomini capaci di ascolto e ascoltare significa dare all'altro la propria presenza, il proprio tempo, in un atteggiamento di fiducia e di amore, ricordandoci sempre che l'ultima parola sul nostro vivere scaturisce dalla Pasqua, dalla forza dell'amore di Dio ed il nostro camminare insieme è vero in forza del fatto che nella nostra vita assumiamo, facciamo nostre le intenzioni, i sentimenti di Dio. * Ecco, allora, che il vangelo viene in nostro aiuto e, attraverso l'immagine della vite e dei tralci ci ricorda che – nella nostra vita di credenti – è fondamentale rimanere in lui. Così, infatti, si esprime Cristo stesso nel vangelo che abbiamo ascoltato: "Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me". È giusto, allora, chiederci quali sono gli strumenti, le realtà che il Signore mette a nostra disposizione per aiutarci a crescere nella comunione con lui e tra di noi. In primis la sua Parola. Come non ricordare a questo proposito l'esortazione di Paolo nella II Timoteo (3,14-4,2): "Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato... fin dall'infanzia conosci le Sacre Scritture... tutta la Scrittura è... utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo ( > Scrittura principio "unificatore" della nostra vita) e ben preparato per ogni opera buona ( > Scrittura principio "ispiratore e chiarificatore" di ogni azione)". * Rimanere saldi, ancorati alla Scrittura, è ciò che ci permette di trovare il principio "unificatore" della nostra vita e quello "ispiratore e chiarificatore" di ogni nostra azione. Non dimentichiamocelo mai: noi porteremo la Parola agli altri se ci lasceremo portare dalla Parola (cfr. Atti 20, 32).Questo significa che ciascuno di noi è chiamato a mettere la propria fede nella Parola di Dio e non in se stesso o in altre realtà; significa che ogni mattina/domenica, quali autentici servi del Signore, facciamo attento il nostro orecchio per ascoltare come discepoli la Parola (Isaia 50, 4); significa che ogni mattina/domenica lasciamo che il Signore ci apra l'orecchio senza tirarci indietro (Isaia 50, 5)... noi dobbiamo poter dire come Gesù: "Io custodisco-osservo la Parola di Dio" (Gv 8, 55). * Il Vangelo, però, prosegue: "Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto". È forse questo il secondo aspetto che, oggi, la Parola di Dio ci suggerisce per aiutarci a capire quali sono le cose che ci fanno crescere umanamente e spiritualmente. Tutti noi siamo passati, o passeremo, per l'esperienza della "potatura" ma questo non significa, come credono alcuni, che Dio manda dolori e sofferenze per provarci e per purificarci. Io sono convinto che le difficoltà che la realtà – e dunque la provvidenza che la giuda – pone sul nostro cammino fanno parte di una pedagogia della maturazione della nostra persona mediante la quale il Signore ci vuole preparare ad essere veramente capaci di assumere e di reggere quelle nuove responsabilità a cui la vita ci chiama giorno dopo giorno. La vita è sempre un itinerario o, forse meglio, una crescita... e come tutte le cose che crescono è in costante mutamento e divenire. Per non incappare nel rischio di arenarci, di cristallizzarci sulle nostre posizioni, noi dobbiamo accettare di camminare ogni giorno (... non è un caso che i primi cristiani si definissero pellegrini e stranieri!). La vita cristiana, per sua natura, è dinamica, pasquale, potremo dire, esodica. Per questo non c'è età della vita che non richieda cambiamenti e correzioni, che non richieda una costante conversione dall'io a Dio... e ai fratelli! C'è un salutare mistero nell'esperienza del nostro limite, nell'esperienza dei piccoli o grandi fallimenti a cui la nostra vita (scolastica, lavorativa, personale e comunitaria) è soggetta. Sono forse proprio quelli i momenti in cui acquistiamo la consapevolezza che non bastiamo a noi stessi e che l'altro (l'Altro-Dio) ci è necessario come l'aria che respiriamo. Solo nel rapporto, nel confronto con l'altro, noi impariamo a conoscere veramente noi stessi, i pensieri e i sentimenti che abitano il nostro cuore. * Per questo la II lettura ci esortava a "non amare a parole né con la lingua ma coi fatti e nella verità" (potrebbe essere questa la terza provocazione che la Parola di Dio ci consegna quest'oggi). L'eloquenza dei nostri gesti è molto più efficace e utile di tante parole. Come ci suggeriva il vangelo di domenica scorsa, ricordiamoci che come Gesù anche noi verremo riconosciuti dalle mani e dai piedi... il nostro annuncio della risurrezione di Cristo sarà efficace e credibile solo se come discepoli sapremo anche noi mostrare agli uomini le nostre mani e i nostri piedi segnati da opere di amore, di rispetto, di servizio e accoglienza reciproca. È dunque la carità, la forza dell'amore che viene da Dio, attraverso lo Spirito che accogliamo e che agisce in noi, quella che dà valore e spessore al nostro vivere, conducendolo nella via della verità, la via di Dio che è Cristo. È sempre l'amore, come continuava l'apostolo Giovanni, a "rassicurare il nostro cuore" davanti al Padre, "qualunque cosa esso ci rimproveri...". Se è vero che nessuno di noi, davanti a Dio, è giusto/perfetto, tuttavia, l'impegno ad amare, a perdonare, a condividere, a servire i fratelli, ci risana dalle molte fragilità e, tutto quel che avremo fatto, nel nome di Cristo, al più piccolo degli uomini, ci introdurrà nella beatitudine eterna, nell'eterno, immutabile dimorare, con Cristo, in Dio. Preghiamo allora oggi il Signore perché nel segno di quel pane offerto e quel vino versato che tra poco offriremo sull'altare, le nostre povere vite ne siano sempre più trasformate e vivificate. Commento a cura di don Giampiero Ialongo |