Omelia (18-08-2003)
padre Lino Pedron
Commento su Matteo 19, 16-22

Per avere parte alla vita eterna bisogna vivere secondo Dio, secondo i suoi comandamenti.

La povertà evangelica richiesta a questa persona non è un consiglio, ma un ordine, altrettanto impellente quanto quello dell'amore indissolubile che rende eunuchi per il regno dei cieli.

La povertà non rappresenta una via migliore e più sicura, che si può percorrere se si vuole e che Gesù si accontenterebbe di raccomandare, ma la condizione assoluta della perfezione obbligatoria, ogni volta che il mantenimento dei beni diventa un ostacolo alla salvezza.

Anche qui, come nel brano precedente, non si tratta direttamente di un appello alla vita religiosa o di speciale consacrazione - anche se l'episodio può servire a illustrarla - ma di un invito rivolto ad ogni uomo a ricevere l'amore e a viverlo nel distacco, ad abbandonare la parte che si possiede per ricevere il tutto che Gesù offre.

La risposta data a Gesù da questo tale: "Ho sempre osservato tutte queste cose" (v.20) è un atto di presunzione. Il comandamento dell'amore del prossimo, che egli afferma di osservare, richiede la volontà di donazione e di impegno totali, separandosi dai beni e donando il ricavato ai poveri. Ma egli "aveva molte ricchezze" (v.22).

La rinuncia ai possedimenti non è richiesta per motivi di santità, come a Qumran, o come espressione di autodominio, come avveniva presso i cinici o gli stoici, ma assume il carattere specificamente cristiano di espressione dell'amore del prossimo, che dona ciò che ha ai poveri.

L'assicurazione della ricompensa, un tesoro nei cieli, resta salvaguardata dal malinteso dell'"io ti do affinché tu mi dia", se viene intesa nel suo vero significato, come ricompensa di grazia.

Questo tale rifiuta l'invito a seguire Gesù perché non accetta le condizioni poste dal Maestro. La tristezza che lo affligge ha le sue radici nell'amore di sé e del mondo.