Omelia (14-05-2006)
mons. Antonio Riboldi
Io la vite, voi i tralci

C'è qualcosa che colpisce ciascuno di noi: ossia il grande bisogno di amore, e l'incapacità di sapere entrare nella vera natura dell'amore.
E' sempre vero il proverbio: "Posso vivere senza sapere perché vivo, ma non posso vivere senza sapere per chi vivo".
E' inutile che lo nascondiamo: l'amore è il vero senso, il gusto, la ragione della vita. E non può essere che così, essendo figli di un Padre che è amore e che quindi ci ha fatti simili a Lui nel cuore. Ma come è difficile possedere la saggezza del vero amore!
Diceva il grande Paolo VI, allora arcivescovo a Milano, in occasione della festa del S. Cuore, lui grande conoscitore degli uomini, "In un mondo che va perdendo la capacità di amare, man mano che perde la capacità di conoscere Dio e, facendo dell'uomo centro supremo del suo pensiero e della sua attività, divinizza se stesso, spegne la luce della verità, vulnera i motivi della onestà e della gioia, noi proclamiamo la legge dell'amore che si sublima, dell'amore che sale, dell'amore che osa prefiggere a suo termine l'infinita bontà... In un mondo che ha deturpato l'amore in tutte le maniere, ne ha fatto sorgente di indescrivibili bassezze, che lo ha confuso col piacere, e il piacere lo ha reso emozione animale, che lo ha sconsacrato nell'innocenza, lo ha deriso nella sua integrità, lo ha mercanteggiato nella sua debolezza, lo ha esaltato per avvilirlo, lo ha esaltato per renderlo complice della passione e del delitto, in questo mondo noi proclamiamo la legge dell'amore che purifica" (discorso 8 Giugno 1956).
Ci vuol poco a capire che è facile confondere l'amore come frutto di sentimento o di egoismo che porta ai "disastri del cuore", togliendo all'uomo la bellezza di vivere, che è solo nel vero amore. Un amore che Gesù ci ha insegnato con la sua vita tutto dono, fino a farne un sacrificio sulla croce. Basterebbe riflettere un momento su quel fatto narrato dall'Evangelista, di quando i soldati, volendo sincerarsi che veramente Gesù fosse morto, con la lancia Gli trafissero il costato e da quel cuore uscirono le ultime gocce della vita, acqua e sangue. Il Padre, quando ama, davvero è senza limiti e, con l'amore donato a noi, senza limiti è la gioia.
Ci vuole poco, fratelli e sorelle, per vedere quanta tristezza c'è attorno a noi, nelle famiglie, nelle persone che incontriamo, nel mondo. Ma a volte trovate persone che hanno un volto che sembra riflettere il sole del cuore e illumina chi li incontra. Quanto amore alberga in questi fratelli e sorelle. Un amore che è la sola ricchezza dell'uomo e che ha le sue radici nella "vite", di cui parla il Vangelo oggi, e di cui noi dovremmo essere i tralci, ossia i destinatari di quella "vite che produce molto frutto, se rimaniamo uniti a Lui fortemente", come seppero fare i santi e sanno fare tutti i veri cristiani.
Non dimenticherò mai il sorriso che era sempre sul volto di mia madre, anche nelle sofferenze: ed era un sorriso che, lei diceva, "attingo dalla Eucaristia". O come non ricordare la serenità sul volto di papà che, dopo 30 anni di matrimonio, mi diceva: "Io e tua mamma ci amiamo tanto, ma tanto, che se dovesse mancarmi, morirei"!
Lo trovi questo sorriso di cielo, sempre frutto di quella "vite che è Dio", in tante persone provate dalla sofferenza, a volte durissima.
Era la gioia del Santo Kolbe che, gettato nel carcere a Auschwitz, sosteneva i suoi compagni di cella, condannati a morire di fame e sete, con il canto dei salmi. Morivano ad uno ad uno i suoi compagni, ma non cessava quel canto, tanto che i nazisti dovettero ucciderlo con una iniezione mortale. Dobbiamo essere sinceri con noi stessi, fratelli: quando l'amore, quello vero, ha le sue radici da Dio e si alimenta a quella vite continuamente, vivere è bello, tanto bello, per noi e per chi ci è vicino, perché il vero amore è come il sorriso e la gioia, si comunica a chi è accanto.
Così come quando non si conosce l'amore, il cuore soffre di quel vuoto e la vita sembra una condanna...come la pianta del fiore le cui radici, non trovando terra e acqua da cui attingere vita, presto seccano.
"Vorrei nascere mille volte, mi diceva una persona felice, tutta amore, per conoscere la bellezza di essere amato e di amare...non importa se a volte devo amare da crocifisso. Ma meglio essere crocifissi per amore, che crocifiggersi e crocifiggere per egoismo e quindi condannarsi alla disperazione".
E ce n'è tanta gente, credetemi, che ha veramente sete di amore. Basta avere lo sguardo attento e subito si ha l'impressione di essere sommersi da un fiume di lacrime senza speranza.
Scrive S. Giovanni, l'apostolo che aveva direttamente attinto all'amore di Gesù, nell'ultima cena appoggiando la sua testa sul seno di Gesù e aveva voluto seguire il Maestro, che lo amava tanto, fin sotto la croce, con Maria Sua Madre, senza paura di soffrire...perché così è la natura del vero amore: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a Lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa...Questo è il comandamento che crediamo nel suo Figlio Gesù Cristo, e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui". ( 1 Lett. Giovanni 3, 18-24).
E Gesù ci dona nel Vangelo la chiave dell'amore, ossia Chi può donarcelo, sempre che a Lui ci affidiamo: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio invece che porta frutto, lo pota perché porti più frutti...
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può fare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite e voi i tralci..."
Quanta sete ha il mondo, e tutti noi, di vero amore. E Dio ci indica a chi ricorrere con questa stupenda immagine della vite e dei tralci. Forse a volte sbagliamo rifiutando di essere tralci, per quello stupido egoismo che pretende di essere vite e tralci. Ma cosa possiamo mai fare noi che, vogliamo o no, crediamo o no, dipendiamo totalmente da quella suprema vite che è Dio?
Abbiamo avuto la fortuna di vivere guidati da quel grande maestro dell'amore che fu il grande Giovanni Paolo II. Il suo era un cuore immenso che non conosceva confini. Era come "una vite", a sua volta frutto della "sola vite-Dio", che sembrava coprire tutta la terra.
Il suo cuore ha cessato di battere quando, come Gesù sulla croce, aveva dato proprio tutto. E il mondo alla sua morte forse lo aveva capito.
Incontrandolo un giorno, in una lunga visita, nel suo studio, con quegli occhi sbarrati che sembravano rivolgersi a me e a ogni uomo e donna mi disse: "L'uomo ha perso Dio e quindi è finito, come un tralcio staccato dalla vite, in un angolo come un pugile.
Bisogna amarlo, fino a riportarlo al centro del ring, perché torni con gioia a lottare, la lotta della Vita per il Cielo".
Ogni volta che si elegge un Papa, tutti aspettiamo qual è il suo pensiero-guida, pronti a seguirlo. E questa attesa era grande con l'elezione di Benedetto XVI, un pastore che la gente sta conoscendo e si meraviglia, perché veramente è il Pastore che continua la traccia verso il Cielo, segnata da Giovanni Paolo II.
Stupendoci tutti, la sua prima Enciclica è dedicata all'amore: "Dio è amore": amore verso Dio, amore verso i fratelli. Così introduce l'enciclica: "Dio è amore, chi sta nell'amore, sta in Dio e Dio dimora in lui". Queste parole della Prima Lettera di Giovanni, esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana, l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre in questo versetto Giovanni ci offre, per così dire, una formula sintetica dell'esistenza cristiana: "Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto".
Abbiamo creduto all'amore...così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un grande avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso questo avvenimento con le seguenti parole: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna" (Dalla prefazione della Enciclica).
Non resta ora che chiederci tutti se siamo entrati in questa visione della vita con Dio. Chiederci se davvero siamo "tralci fortemente avvinti alla vite"...se davvero "abitiamo nel Signore", ossia se viviamo quell'amore donato, che fa vivere e si dona.
Vi confesso che a me piace tanto un salmo, che descrive come si vive dimorando e facendosi amare da Dio: il salmo 131.
"Signore, il mio cuore non ha pretese,
non è superbo il suo sguardo,
non desidero grandi cose superiori alle mie forze:
io resto tranquillo e sereno.
Come un bimbo in braccio a sua madre
è quieto il mio cuore dentro di me".