Omelia (14-05-2006)
Comunità Missionaria Villaregia (giovani)
Rimanere, potare, crescere

"Io sono la vite, voi i tralci". I destinatari della rivelazione di Gesù, sono oggi, non le folle, non i capi del popolo, ma i discepoli, quanti hanno cioè deciso di seguirlo, dunque, continua a leggere se hai deciso farlo. Meditare queste parole di Gesù sulla vite e i tralci, significa cogliere il rapporto che ci lega a lui nella sua dimensione più profonda. Gesù rivela il segreto della autentica vita cristiana: rimanere in Lui. E per spiegarcelo Gesù usa una immagine sotto gli occhi di tutti. Cosa vi è di più intimamente unito tra loro della vite e il suo tralcio? Il tralcio è una propaggine e un prolungamento della vite. Da essa gli viene la linfa' che lo nutre, l'umidità del suolo e tutto ciò che esso trasforma poi in uva, sotto i raggi estivi del sole; se non è alimentato dalla vite, esso non può produrre niente, ma niente sul serio: non un pampino, non un acino d'uva, niente di niente. E' un legame ancora più forte di quello tra la madre e il bambino che porta nel suo grembo.
Tra madre e figlio scorre lo stesso sangue; il respiro e l'alimento della madre passano nel figlio. Ma il figlio ad un certo punto muore se non si stacca dalla madre; per continuare a vivere deve, ad un certo punto, abbandonare il seno materno e continuare a vivere per conto suo. Nel Vangelo di oggi, Gesù usa l'immagine del tralcio unito alla vite, che muore proprio se si stacca dalla vite. I due termini - vite e tralci - si rischiarano e implicano a vicenda. Non c'è tronco senza tralci, né questi sono senza quello. Insieme fanno la vite, la quale si sa, non ha valore che per il suo frutto, giacché il suo legno secco è buono soltanto per essere gettato nel fuoco. Così è imprescindibile il rapporto tra Cristo e il suo discepolo.
Qual è dunque il nostro compito di tralci? Giovanni ha un verbo prediletto per esprimerlo: "rimanere": Rimanete in me ed io in voi; Se non rimanete in me...; Chi rimane in me... Rimanere attaccati alla vite e rimanere in Cristo Gesù significa anzitutto rimanere "nel suo amore" (Gv. 15, 9). Nell'amore che lui ha per noi, più che nell'amore che noi abbiamo per lui. Il nostro amore per Lui a volte dura un solo istante, il suo per noi è eterno. Nemmeno il peccato ci toglie la possibilità di rimanere in Cristo. significa perciò permettergli di amarci, di farci passare la sua " linfa " che è il suo Spirito, evitando di porre tra lui e noi l'insormontabile barriera dell'autosufficienza, dell'indifferenza e del peccato.
Gesù insiste sull'urgenza di rimanere in lui facendoci intravedere le conseguenze fatali del distacco da lui. Il tralcio che non rimane unito alla vite si secca, non porta frutto, viene tagliato e gettato nel fuoco; non serve proprio a niente, perché il legno della vite - a differenza di altri legni che, tagliati, servono a tanti scopi - è un legno inutile a qualsiasi altro scopo che non sia quello di produrre uva (cf. Ez. 15, lss.). Uno può avere una vita rigogliosissima all'esterno, essere pieno di salute, di idee, produrre energia, affari, figli, ed essere, agli occhi di Dio, legno arido, legno da buttare nel fuoco appena passata la stagione della vendemmia. Rimanere in Cristo, dunque, significa rimanere nel suo amore. Sappiamo che l'amore massimo di Gesù si è manifestato nella Croce, allora rimanere in Lui significa anche rimanere nella Croce, "perseverare con lui nella prova" (cf. Le. 22, 28). Se si rimane in Lui si cresce, si arriva a maturazione, si è capaci di dare uva prelibata, vino buono, gioia, vita nuova. La crescita globale e integrale della persona si dà solo nella relazione di Dio e noi e di noi a Dio, in Cristo.
Per una tale crescita, occorre però, essere potati e lasciarsi potare: Ogni tralcio che porta frutto (il Padre mio) lo pota perché porti più frutto (Gv. 15, 2). Che significa potare? Significa recidere i germogli superflui e parassitari (i desideri e gli attaccamenti disordinati), perché concentri tutta la sua energia in una sola direzione e così cresca davvero. Il contadino è attentissimo, quando la vite si carica d'uva, a scoprire e tagliare i rami secchi o superflui, perché non compromettano la maturazione di tutto il resto. La persona che nella vita vuole fare troppe cose, coltiva un'infinità di interessi e di hobby, si disperde. Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte, lasciar cadere interessi secondari per concentrarsi su alcuni primari. La potatura è come la scultura che leva pezzi di marmo che sono di troppo per far emergere l'opera d'arte.
Un giorno Michelangelo, passeggiando in un giardino di Firenze, vide, in un angolo, un blocco di marmo che sporgeva da sottoterra, mezzo ricoperto di erba e di fango. Si fermò di scatto, come se avesse visto qualcuno, e rivolto agli amici che erano con lui esclamò: "In quel blocco di marmo è racchiuso un angelo: debbo tirarlo fuori". E armandosi scalpello, cominciò a togliere pezzi di marmo finché non emerse la figura di un bell'angelo.
Anche Dio ci guarda e ci vede così: come dei blocchi di pietra, ancora informi e dice tra sè: "Lì dentro è nascosto Pietro, Luca, Roberta... voglio tirarla fuori!" E prende lo scalpello che è la croce e comincia a lavorarci, comincia a potare... Tra le opere di Michelangelo ce ne sono alcuni cosiddette "incompiute"... Figure appena abbozzate... Forse Michelangelo non ha avuto tempo per terminarle? Forse nella sua capacità di vedere dentro... le ha lasciate così, affinché possiamo prendere coscienza di ciò che noi siamo: esseri incompiuti, in formazione... Rimanere in Cristo è permettere allo Spirito di lavorarci secondo l'immagine del Figlio, Uomo perfetto.
Gesù stesso è stato duramente "potato" dal Padre nella passione e morte, affinché producesse quel frutto duraturo la cui spremitura riempie perennemente il calice delle nostre Eucaristie.
Avere il coraggio di rimanere sotto i colpi di uno scalpello, o sotto le cesoie della potatura è il cammino per essere veri discepoli di Gesù e crescere come persone. Auguri!