Omelia (21-05-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Ubi caritas et amor... Deus ibi est La prima Lettera di Giovanni, che oggi siamo chiamati a meditare come secondo testo liturgico, ci ragguaglia sulla natura e la scaturigine dell'amore cristiano, adoperando termini abbastanza concreti ed efficaci: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.", le quali sottolineano che l'amore dei cristiani non va confuso con la filantropia, con la pura compassione o con qualsiasi altra prerogativa che scaturisca dal sentire umano: l'amore che siamo chiamati a scambiarci vicendevolmente deriva da Dio ed è lo stesso che noi abbiamo sperimentato ciascuno in prima persona essendo stati resi oggetto dell'amore divino e di questo aver fatto esperienza. L'amore di Dio ci si rende plausibile in molteplici circostanze dell'esperienza ma la forma più convincente con cui esso si è espresso è stata quella dell'incarnazione del Suo Figlio, che ha voluto assumere la nostra stessa natura accettando le immolazioni e i sacrifici che ci interessano tutti i giorni e soprattutto consegnandosi al supplizio estremo della croce per liberarci dai peccati. In Cristo Suo Figlio l'amore di Dio è diventato pieno e definitivo e ciò sottolinea che ad amarci è stato Lui per primo, indipendentemente dalle nostre scelte e dalla nostra corrispondenza: non importa se noi lo amavamo o lo conoscevamo, quello che conta è che ad amarci è stato lui mentre a noi non resta che accogliere questo suo dono e corrispondervi apertamente lasciandoci amare con apertura filiale. Nessuno può dare agli altri quello che non ha mai ricevuto e pertanto nessuno potrà mai essere capace di amore se non è stato prima amato a sua volta. E appunto per questo, affinché noi comprendiamo la vera qualità dell'amore per gli altri è indispensabile che ci lasciamo sedurre e avvincere dalla convinzione di essere stati prediletti in prima persona da Dio. Essere stati amati da Dio è il punto di partenza per poter vivere nell'amore vicendevole e come sempre afferma Giovanni "comportandoci ciascuno come Cristo si è comportato" ossia amando intensamente il prossimo nella verità e nella sincerità. Scendendo nei dettagli e accostandoci anche all'Enciclica di Benedetto XVI, l'amore che scaturisce da Dio e che intercorre fra di noi non è mai interessato né egoistico e neppure propenso al solo ricevere ma piuttosto al dare con disinteresse e al donarsi con gioia senza aspettarsi contraccambio alcuno per poi avere inaspettatamente la nostra ricompensa; esso equivale alla sincerità nei nostri rapporti reciproci e alla disponibilità ad accettarci tutti gli uni gli altri anche nei limiti e nelle defezioni, quindi a correggerci reciprocamente negli errori senza avere la benché minima pretesa di prevaricare gli uni sugli altri. L'amore cristiano vuole infatti che si viva anzitutto nella serenità e nella concordia e che ciascuno sia disposto al dialogo e all'apertura di collaborazione e di carità pur restando se stesso e mantenendo le proprie convinzioni e la propria natura, che si sai capaci di sopportare con pazienza le altrui mancanze non omettendo di riconoscere le proprie nello spirito della mutua accettazione e della correzione fraterna; che non vi siano discriminazioni e preferenze fra di noi, qualunque sia il gruppo o l'associazione di cui facciamo parte, poiché Dio (I Lettura) non fa' preferenza di persone. Sempre la logica dell'amore e dell'accettazione reciproca vuole che ci si incontri di persona per chiarire eventuali malintesi e che si eviti ogni forma di pregiudizio e di pettegolezzo come anche di inaudito quanto assurdo e gratuito giudizio negativo nei confronti del fratello. San Francesco di Paola (Fondatore dei Minimi) nella sua vita e nei suoi insegnamenti rifuggiva la vergognosa tendenza a "tagliare i panni addosso" (parlare male degli altri) rimproverando aspramente coloro che facilmente si dessero a tale atteggiamento e perché le relazioni fossero sempre spurie da cattiverie invitava tutti a "pulire la propria casa, cioè la propria coscienza", affinché anche nell'intimità delle intenzioni personali non vi fosse ombra di malizia. Tutto questo perché l'amore va vissuto innanzitutto fra gli stessi fratelli che condividono la stessa fede e che si sanno figli di un solo Padre e perché conseguentemente l'amore verso i "lontani" si renda esplicito e manifesto a partire dalla nostra stessa testimonianza, come afferma Gesù in un'altra sede dei Vangeli "Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi. Da questo conosceranno che siete miei discepoli". Non c'è altra forma di ministero o di apostolato più efficiente dell'esempio pratico di vita e anche la pedagogia cristiana dell'amore da impartire agli altri si fonda sull'esemplarità pratica, sicché quanti non ci conoscono saranno convinti di noi nella misura in cui riusciremo ad amarci concretamente gli uni gli altri, soprattutto perché l'umanità non credente, stanca di sentir parlare dell'amore di Dio, ambisce vedere le persone che sono state amate da Dio. La comunione nell'amore fra di noi è con Lui fa' si che noi siamo trattati come persone libere da ogni condizione servile e schiavista, poiché vivendo questa logica noi ci riconosciamo vincolati a Cristo in un legame di amicizia che ci conduce a intessere rapporti di fiducia con lo stesso Signore che non risentano di sottomissione alcuna. Proprio in questo consiste il "frutto" che Gesù ci invita a recare agli altri e a coltivare fra di noi perché rimanga: quello dell'amore che proviene da Dio e che si esplica nella vita di tutti gli uomini e chi non reca questo frutto mostra con evidenza di non aver mai conosciuto né aver mai avuto interesse alle relazioni con Lui. |