Omelia (19-08-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Matteo 19, 23-30 Il tale di cui parla questo brano del vangelo aveva chiesto a Gesù che cosa doveva "fare" per "avere" la vita eterna (v.16); nella sua risposta ai discepoli, Gesù rovescia la prospettiva: bisogna "lasciare" per "avere" (v.29). Questa impossibilità di farsi piccoli per entrare nel Regno è sottolineata da Gesù (vv.23-24) e ripresa dai discepoli costernati: "Chi si potrà dunque salvare?" (v.25). Gesù insiste: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile" (v.26; cfr Gen 18,14; Gb 42,2; Zc 8,6). Il Regno non è un bene che si guadagna o si possiede; bisogna riceverlo come dono da Dio. Siamo nel cuore della Rivelazione del Regno e della scelta che richiede (cfr Mt 16,23): o si muore a se stessi per ricevere tutto da Dio o si rende impossibile in noi la venuta del regno dei cieli. L'uomo, ricco o povero, non può salvare se stesso, ma deve accogliere la salvezza come dono di Dio. Pietro pone la domanda circa la ricompensa riservata a coloro che seguono Cristo. Egli non chiede solo per sé, ma per tutti. La domanda è umanamente comprensibile, ma insensata, perché non tiene conto che la ricompensa divina è sempre grazia. Il seguire Gesù conduce alla partecipazione della sua gloria in paradiso. Con la domanda di Pietro, Matteo prepara la parabola che segue (Mt 20,1-16). Lutero, commentando questo brano in una predica del 1517, diceva: "Senza la rinuncia alle cose, non si ottiene nulla". |