Omelia (18-05-2006) |
mons. Vincenzo Paglia |
Gesù confessa apertamente la natura del suo amore: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi." Non si sente diminuito nel dire che il proprio voler bene è frutto di un amore più grande, come invece pensiamo noi. Accecati dalla necessità di apparire originali e di non dipendere da nessuno, ci vergogniamo ad ammettere che la nostra felicità dipende dall'amore di un altro più grande di noi. Da questa convinzione nasce l'invito a restare attaccati a lui, come tralci, come uomini e donne umili, cioè che si rendono conto che da soli si inaridiscono i sentimenti e si infiacchiscono le braccia, fino a divenire incapaci di preoccuparci e servire altro che noi stessi. Segno grande di quest'umiltà è saper gioire della gioia di chi ci sta accanto, come ci invita a fare il Signore con lui, è non poter essere felici se chi ci sta accanto è nel bisogno o nella tristezza, se è povero, affamato, nel dolore. La promessa di Gesù infatti è di una gioia piena, non di piccole, passeggere soddisfazioni individuali, e la otterremo tutta intera se sapremo osservare il comando dell'amore che il Signore ha indicato a quel giovane ricco che gli chiedeva la via per la vita eterna: "Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi." |