Omelia (14-05-2006)
padre Antonio Rungi
Gesù la vera vite dalla quale attingere la linfa

La parola di Dio della quinta domenica del tempo di Pasqua ci presenta l'immagine di Gesù vera vite, alla quale rimanere attaccati per non perdere vitalità, consistenza ed esistenza. L'immagine, come quella del pastore, tratta dalla vita del popolo di Israele, era familiare e quindi comprensibile alle persone che ascoltavano Gesù ed in particolare proprio i discepoli, che alla sua scuola avevano imparato qualcosa, anche se non avevano compreso il tutto della sua persona e della sua missione nel mondo.
Il testo del Vangelo di Giovanni che ascoltiamo ci aiuta a comprendere quanto sia davvero essenziale Gesù nella vita di coloro che si professano suoi discepoli. Non ci si può proclamare cristiani, se poi noi siamo come tralci distaccati dalla vite, senza possibilità di sopravvivenza spirituale e senza quella linfa necessaria per vivere legati alla sorgente della grazia e della felicità che è il Signore. "In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli".
Dal testo del Vangelo è evidente ed esplicito l'invito di Gesù ad essere ancorati a lui, altrimenti rischiamo la morte spirituale. Come è vera questa affermazione, soprattutto oggi: lo si comprende dall'aridità spirituale e morale che circola nel sangue di tanti che si dicono cristiani. Forse costoro prima erano anche fervorosi, poi hanno perso lo smalto interiore e si sono lasciati andare, vivendo praticamente da atei o miscredenti, in quanto Dio non occupa più il posto principale e neppure l'ultimo nella scala delle cose che contano nella loro esistenza. Il rischio della perdizione della vita eterna è messo in risalto nel brano del Vangelo. Brano che va attentamente valutato e considerato, anche perché Gesù ci invita a rimanere in lui, in quanto chi vive nell'intimo e spirituale contatto con Dio può ottenere ogni cosa da un punto di vista interiore, se non altro la serenità e la pace dell'anima.
Su questo stesso tono si colloca il brano della prima lettera di Giovanni che ascoltiamo oggi e che altrettanto ci invita a vivere nell'amore verso Dio: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui perché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a lui. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato".
L'amore perdona e risolve tante questioni e tanti problemi della nostra vita, purché sia un amore forte e non debole, un amore sincero e sentito verso l'Essere superiore che ci ha creati e ci ha redenti.
Non è semplice vivere in questo atteggiamento dell'animo in cui avvertiamo profondamente l'amore verso Dio e verso gli altri. A volte, considerate le nostre fragilità e debolezze, siamo più facili ad alimentare dentro il nostro cuore la rabbia ed il risentimento, l'odio e il contrasto verso la fede e verso gli altri. Non abbiamo, in poche parole, Dio nel nostro cuore e nei nostri pensieri. Come fu, prima della conversione, per San Paolo Apostolo, di cui ci parla il testo della prima lettura odierna. Conosciuto come persecutore dei cristiani, non fu semplice per lui essere accettato dai discepoli di Gesù, pur sapendo essi della sua conversione sulla via di Damasco. Come dire, che nella vita il passato ha il suo peso e non si dimentica facilmente, anzi lascia quasi sempre ferite che possono riaprirsi e fare soffrire in qualsiasi momento. Solo la grazia di Dio, la profonda comunione con lui, la sincera conversione del cuore e della mente ci permettono di andare oltre nelle nostre debolezze e confidare pienamente nella misericordia di Dio e nell'amicizia di Gesù, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino per mezzo di lui.
E' bello ascoltare, dal brano degli Atti degli Apostoli di oggi, come la Chiesa si diffondeva e come la causa del vangelo prevalesse su ogni altra questione e su qualsiasi altro problema. L'ansia missionaria fu la spinta fortissima che motivò anche la prima comunità di Gerusalemme a soprassedere su tante cose, perché far conoscere, far amare e servire il Signore in letizia e semplicità di cuore era l'intento principale di coloro che si sentivano ed erano davvero discepoli di Gesù. E allora ascoltare il racconto dell'incontro di Paolo con i discepoli di Gesù ci rincuora e ci aiuta a capire anche le nostre fragilità, nelle quali non bisogna crogiolarsi, bensì fare in modo che, pur non dimenticandole, producano gli effetti di una volontà di andare incontro al Signore con tutto sè stessi, senza calcoli e conteggi umani. "In quei giorni Paolo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi con i discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo.
Allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarea e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo".
L'entrata ufficiale di Paolo nella cerchia degli apostoli potenziò la spinta missionaria della chiesa nascente. Un dono grande per quel nucleo ristretto di evangelizzatori che, seppure carichi di una forza straordinaria ed interiore, per parlare di Gesù a quanti incontravano consideravano certamente ogni nuovo "acquisto", soprattutto di un certo livello come Paolo di Tarso, come uno straordinario dono di Dio e della Provvidenza per ampliare il raggio di azione nell'opera di annuncio della Buona Novella. E' da sottolineare come la Chiesa in quel frangente, non certamente facile e ottimale da tutti i punti di vista, viveva in pace, camminava nel timore del Signore ed era colma del conforto dello Spirito Santo. Quando Dio occupa il posto centrale della nostra vita e quando si annuncia agli altri l'amore infinito di Dio per gli uomini, la conseguenza più logica e normale è vivere in pace, nella carità e nella serenità tra quanti si professano cristiani, favorendo la costruzione della pace anche al di fuori degli ambienti prettamente religiosi ed ecclesiali.