Omelia (21-05-2006)
don Marco Pratesi
Non servi, amici

In questo passo, continuazione del vangelo di domenica scorsa, Gesù insiste sull'unità profonda e piena che desidera formare con i suoi discepoli: "Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quel che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose udite dal Padre mio". Il servo non conosce, l'amico conosce. Conoscienza significa qui comunione con l'altro, vicinanza, partecipazione, interesse per lui, significa presenza dell'uno nell'altro. Ignoranza è separazione, non partecipazione, disinteresse, assenza.
Dio vuole mettere tutto in comune con noi, e di questa volontà ci offre due segni inquivocabili. Primo: dà la vita per gli amici. Secondo: si fa conoscere nell'intimo. "Vero segno di amicizia è rivelare i segreti del proprio cuore" (S. Tommaso).
Di fronte a queste "confessioni" del Signore siamo costretti a misurare la mostruosità dell'offesa che facciamo a Dio quando lo vediamo come un padrone che ama mantenerci in soggezione, tenerci a distanza, farci fare anticamera, signore geloso dei suoi privilegi e ansioso di mantenerseli, Dio invidioso della nostra felicità. Il "giogo soave" diventa allora schiavitù, l'osservanza dei comandamenti legalismo, la morale senso del dovere, il timore di Dio servilismo. Ma Dio non vuole schiavi, non gente che cerca di tenerselo buono obbedendogli ed evitando di contrariarlo, come un qualsiasi tiranno da quattro soldi. Dio vuole amici; vuole che osserviamo il suo comandamento da amici, da persone libere che condividono tutto con lui. Segno di questa condivisione è l'adempimento del comandamento dell'amore.
"Siete miei amici, se fate le cose che vi comando". Non si tratta certo, da parte di Dio, di un amore condizionato, quasi: "se non obbedite, non vi amo". Gesù proclamerebbe qui il manifesto del legalismo, autenticherebbe la strada rassicurante della schiavitù (che facilmente diventa poi la strada distruttiva della ribellione e del nichilismo).
No, Dio vuole che osserviamo il comandamento perché, come ogni buon amico, desidera reciprocità, vuole uguaglianza tra noi e lui. Solo così la sua gioia in noi può diventare piena. Questa è una promozione vertiginosa per noi ("troppa grazia" verrebbe da dire...), e come tale va intesa.
Un amore così da parte di Dio per noi è veramente paradossale: non potremmo crederci se lui stesso non l'avesse rivelato. Non è iniziativa nostra, questa, ma elezione da parte di Dio. Non realizzazione umana, ma vocazione divina. Non nascita da "carne e sangue", ma rinascita da Spirito Santo.
"La carità è cosa per se stessa così sublime, che in alcun modo non può germinare né dalla volontà dell'uomo, né da quella della carne. Ma essendo Cristo nato ab aeterno da Dio Padre, come suo natural Figliolo, da Dio colla natura divina trasse ab aeterno la carità; e noi formando ora con esso lui un solo corpo partecipiamo per adozione a quella sua generazione sempiterna, e, insieme con lui volontariamente e liberamente della stessa carità. Rallegriamoci dunque ed esultiamo in spirito: noi possiamo con un santo ardire intraprendere l'opera grande, anzi sovrumana di votarci a quella carità. Poiché vive in noi Cristo e il suo Spirito ama in noi" (Antonio Rosmini).

All'offertorio:
Pregate fratelli e sorelle perché questo sacrificio ci renda amici veri di Gesù, e sia gradito a Dio Padre Onnipotente.

Al Padre Nostro:
In amicizia col Signore e animati dal suo Spirito, preghiamo come Gesù ci ha insegnato: