Omelia (21-05-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
L'amore di Dio, che si è manifestato nella Pasqua di Gesù, non esclude nessun uomo, ma chiama tutti a entrare nella sua famiglia, la Chiesa. E' quanto emerge con evidenza dal gesto di Pietro che battezza la prima famiglia di pagani, accogliendoli nella comunità cristiana (At.10: I lettura). La nostra condizione di battezzati Gesù ce l'ha descritta nel Vangelo della scorsa domenica (Gv 15, 1-8) attraverso l'immagine della vite e dei tralci. Nel brano di oggi, secondo un procedimento ben noto nel IV Vangelo, Gesù ritorna sul tema approfondendolo e sviluppandolo. Anzitutto riprende l'esortazione "Rimanete in me" (cfr. la scorsa domenica) e la trasforma in "Rimanete nel mio amore". Il senso non è "Continuate a volermi bene", ma piuttosto "Continuate a lasciarvi amare, non sfuggite alla mia presa amorosa". Infatti, "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi". Abbiamo qui una delle più audaci dichiarazioni d'amore che Gesù potesse farci e che tuttavia, chissà per quale leggerezza e superficialità, forse rischiamo di non prendere sul serio. Questo amore vertiginoso di Gesù per i suoi ha la sua sorgente in Dio: "Dio è amore" (1Gv. 4, 8: II lettura). L'autodonazione reciproca delle Tre Persone è di una tale pienezza da costituire l'unità dell'Essere divino. Ma è una pienezza traboccante: l'amore divino attraverso Cristo invade gli uomini. Più precisamente: tutto l'amore, che Dio da sempre porta a suo Figlio, Gesù lo riversa su di noi. Tutto l'amore che brucia in Dio - e che è mare sconfinato di vita, di gioia, di giovinezza -, tutto l'amore che unisce il Padre a Gesù e che è una persona, cioè lo Spirito Santo, Gesù lo comunica a noi. Dal Padre al Figlio a noi: ecco il movimento dell'amore. Grazie al rapporto con Gesù riceviamo l'amore del Padre e siamo risucchiati dentro la vita della Trinità. E' la realtà della comunione. Ma tale comunione, cioè il "rimanere nell'amore" di Cristo e del Padre, da quali segni si può riconoscere? E come custodirla e alimentarla? "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore...". L'obbedienza alla volontà di Dio rivelata da Gesù è segno e condizione del nostro "rimanere nel suo amore". I comandamenti però, che i discepoli devono osservare, si compendiano in quello che Egli chiama il "suo": "Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati". Il frutto che Dio vuole è l'amore fraterno e null'altro: l'amore scambievole e concreto fino al completo dono di sé: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Non è un amore qualunque, ma un amore che si misura su quello di Gesù e ha origine nel suo amore. Il "come vi ho amati" non dice soltanto che dobbiamo imitare Gesù, supremo modello d'amore. Ma il "come" ha pure un valore causale: perché io vi ho amati. L'amore di Gesù, che prima ancora è amato dal Padre, precede con assoluta gratuità ogni nostro intervento d'amore e lo rende possibile, poiché Egli ci partecipa il suo medesimo amore. Di conseguenza possiamo e dobbiamo amare. In tal modo Gesù può continuare Lui stesso ad amare ciascuno attraverso il nostro amore reciproco. Ma la misura rimane "dare la vita" (Gv 15, 13), "amare sino alla fine" (Gv 13,1), Cosa succederebbe se a partire da ora, ogni volta che due o più cristiani si incontrano, in ciascuno di loro scattasse il proposito: "Io sono pronto a dare la vita per te..per ognuno"? Forse nel caso concreto potrebbe mancarmi il coraggio di farlo. Ma intanto ora dentro di me rinnovo tale intenzione, che posso subito tradurre nella pratica. Per es. mi rendo conto che a questo fratello posso offrire una prestazione, un piccolo servizio, un sorriso, un po' di tempo per ascoltarlo e interessarmi di lui. Se in me è viva la decisione di dare la vita, cercherò subito di amarlo concretamente, sapendo che questo mio gesto sarà sempre meno che dare la vita per lui, ma lo farò con tutto l'amore che mi è possibile in quel momento. Perché non provare? E' ciò che il Padre e Gesù desiderano di più. Tale amore ce lo donano. L'amore, che è la legge di vita nella Famiglia Trinitaria, è comunicata a noi perché diventi regola di vita in tutti i nostri rapporti. Allora il "rimanere nell'amore" di Gesù e del Padre non sarà un'esperienza illusoria, ma una comunione reale e contagiosa, caratterizzata dal segno inconfondibile della gioia: "Questo vi ho detto, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena". Accogliere la rivelazione di Gesù sull'amore che ci porta, restare in questo amore attraverso l'osservanza dei suoi comandamenti e cioè l'amore scambievole: tutto questo apre il varco perché la gioia invada il nostro cuore. Una gioia unica, perché è la gioia stessa del Cristo risorto e del Padre dentro di noi. Ed è una gioia "piena". Quindi traboccante e incessantemente regalata agli altri. Tale gioia è il segno e il frutto divino della comunione. Essenziale è "rimanere nell'amore di Cristo". Gesù afferma che l'amore con cui ci avvolge ha alcune note specifiche: "Non vi chiamo più servi...ma vi ho chiamati amici". Ciò che ormai caratterizza la loro relazione con Gesù è l'amicizia. Da parte di Gesù questo amore di amico si spinge fino al limite invalicabile che è il "dare la vita" (cfr. Gv 10, 11-18: IV domenica di Pasqua). Si esprime anche nel far conoscere ai discepoli quanto ha udito dal Padre, introducendoli nel cuore della rivelazione. Agli amici infatti si confidano tutti i segreti della propria vita intima, che per Gesù è la sua indicibile relazione col Padre. E ancora è scelta personale dei propri amici: "Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi". Scopo e conseguenza di tale scelta: "perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga". Il vero frutto duraturo non è tanto la conquista di molte persone al Vangelo, cioè la fecondità apostolica, ma soprattutto l'essere discepoli di Gesù nell'assimilazione più piena a Lui. Il frutto è l'amore vicendevole, che è la vita trinitaria trasferita nei rapporti tra i credenti. E' questo amore la parte che a loro volta devono svolgere gli amici di Gesù in risposta al suo amore per loro. Ecco perché Gesù precisa: "Voi siete i miei amici, se farete ciò che vi comando...Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri". Insomma, l'amore che Gesù ci chiede di vivere tra di noi viene dall'amore di Dio in Cristo per noi. Tale amore è di una gratuità assoluta: la sua prova più chiara è l'invio del Figlio da parte del Padre, è la sua iniziativa imprevedibile: "In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio" (1Gv 4, 9-10: II lettura). Questo amore congiunto del Padre e del Figlio è la realtà dolcissima che ci avvolge e in cui dimoriamo. Noi rimaniamo in tale amore nella misura in cui accettiamo di trasferire nella nostra vita e nei rapporti concreti la radicalità dell'amore con cui Cristo ci ha amato e ci ama, trasparenza dell'amore del Padre per noi. Se siamo capaci di amarci in questa dimensione, testimoniamo che siamo stati amati dal Padre e dal Figlio e ci amiamo col medesimo amore con cui Essi ci abbracciano. Si comprende, così, perché Gesù parla del "suo comandamento". Infatti l' "ama il prossimo tuo come te stesso" i fedeli di Israele lo conoscevano, e anche in forme diverse si ritrova come "regola d'oro" presso tutti i popoli. Ma Gesù può chiamare propriamente "suo" il comandamento dell'amore vicendevole, perché nella pratica di tale comandamento il suo amore rimane il modello e la misura, come pure la sorgente da cui si riceve tale amore. Un amore originalissimo che avrà le caratteristiche del suo: cioè amore gratuito, che non esclude nessuno, prende sempre l'iniziativa, fa sempre il primo passo, è disponibile a dare la vita ed è reciproco, come l'amore in Dio fra le Tre Persone. Si comprende anche che "il suo comandamento", più che un ordine imposto a noi dall'esterno, è piuttosto lo stile di Gesù, il suo modo di amare fino al dono della vita, il suo modo di vivere il rapporto trinitario, partecipato a noi. E' Cristo stesso che ama in noi. Tornano qui a proposito le parole di sant'Agostino rivolte ai battezzati "Rallegriamoci e ringraziamo: siamo diventati non solo cristiani, ma Cristo. Stupite e gioite: Cristo siamo diventati!". In definitiva, chi sono i battezzati? Sono coloro che "rimangono nell'amore di Cristo". Ogni atto d'amore che compiono, e che corrisponde al "suo comandamento", rivela la loro profonda identità e concorre a consolidarla. "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore...Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici". Riascoltiamo interiormente con calma qualcuna di queste parole e proviamo a vedere che cosa ci provocano nel cuore. |