Omelia (21-05-2006) |
don Mario Campisi |
Chiamati alla gioia con il linguaggio dell'amicizia e dell'umorismo La gioia cristiana di cui si cerca di esprimere il volto nei Vangeli di queste domeniche pasquali è connessa dal brano evangelico di oggi con l'osservanza dei comandamenti: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore... perché la mia gioia sia con voi e la vostra gioia sia piena». Strano e paradossale il Vangelo in tema di gioia! Mentre per lo più la gioia (di vivere, di far festa, di sentirsi liberi...) oggi viene cercata nella trasgressione e nell'evasione (dalle leggi, dai doveri...), nel Vangelo è connessa strettamente con i comandamenti e le caratteristiche della missione del cristiano nel mondo: «dentro», quindi, e non fuori della vita del cristiano nel mondo; dentro e non fuori della sua missione e testimonianza nel mondo. E' come dire che il cristiano, anche se il mondo e l'ambiente in cui opera e vive gli è ostile, diffidente o anche indifferente, non deve per questo perdere il suo stile, né venir meno alla sua testimonianza nel mondo, che consiste nell'essere un annunciatore della "buona notizia" che è il Vangelo, un portatore della gioia, un uomo che è chiamato a rendere conto della gioia che è in lui. Purtroppo, a torto, si è creduto per troppo tempo che fossero più cristiani e segno di maggior virtù la serietà, la gravità, il non ridere mai... quasi che questo esprimesse una sorta di aristocrazia spirituale. La sequela di Cristo non può ignorare la gioia, il canto, la tenerezza e la freschezza dello spirito (San Francesco, con la sua "perfetta letizia" è un esempio grande di come vedere e vivere la vita cristiana in mezzo a tante ostilità). Ma questa apertura ai temi della gioia comporta, da un parte, il superamento di stili di vita troppo rigidi e, dall'altra, la ricerca di forme, segni, linguaggi della gioia cristiana. Proviamone a conoscere alcuni di questi linguaggi della gioia cristiana che ci vengono dal vangelo di oggi. «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Ma vi ho chiamati amici...». Il Vangelo è paradossale. Gesù sa benissimo di inviare i suoi discepoli in un mondo ostile, contrario e difficile; eppure li invia a presentarsi come gli "amici del Signore", con la tessera e il volto di "amici del Signore". Vivere da amici del Signore, sperimentare tutta la carica di tenerezza, freschezza, gratuità, libertà di questa amicizia significa poi parlare da amici. Vivere da amici del Signore significa diventare amici tra di noi in tutto, non solo nel bisogno del pane e della casa, ma nella riscoperta di tutti i valori della vita. Un altro segno e linguaggio della gioia cristiana – e sembrerà strano – è il linguaggio dell'umorismo. E anche questo tipo di linguaggio della gioia cristiana sembra suggerito dal Vangelo. Non è da escludere che dicendo: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi», Gesù abbia nel suo cuore interiormente sorriso. «Bella scelta che ho fatto», avrà detto dentro di sé, pensando a quello che sarebbe successo di lì a poco quando, dopo il cenacolo, i discepoli l'avrebbero abbandonato. Gesù deve aver sorriso interiormente anche nel giorno della festa delle palme al vedere tutta quella folla inneggiare osannante al suo ingresso in città pensando che di lì a pochi giorni la stessa folla lo avrebbe preferito come crocifisso al posto di un delinquente. E non è neanche da escludere una punta di umorismo in Gesù, quando dice categoricamente: «Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri». Succede qui a Gesù quello che succede ad una madre che prima di assentarsi da casa raccomanda ai bambini: «Mi raccomando, non bisticciatevi, ma vogliatevi bene»; ma ella sa benissimo che può succedere il contrario e che sarà la sua presenza ad aggiustare ogni cosa. Il comando del Signore Gesù è serio ma sereno, quasi con una venatura di sano umorismo. San Paolo ai cristiani della Galazia in contrasto tra loro dirà: «Se litigate, vedete di non sbranarvi tra voi» (Gal 5,15). Gesù e l'apostolo Giovanni non mancano di umorismo. Anche questo fa parte del linguaggio di quella gioia che deve accompagnare e sorreggere la testimonianza cristiana. Ma stiamo attenti che l'umorismo evangelico non è né l'umorismo laico né quello gelido, tagliente, polemico. L'umorismo laico è per lo più difesa se non addirittura attacco, l'ultima arma prima della disperazione. L'umorismo evangelico, di contro, non nasce dalla disperazione, ma da una esuberanza di ragioni vitali. Non è espressione di vuoto, ma di pienezza. E' umorismo che sgorga da uno stile di vita, da un rapporto di amicizia con quel Signore che abbatte i potenti e innalza gli umili, confonde i giusti e riabilita i peccatori, si lascia crocifiggere e fa saltare la pietra tombale. E' un Dio che si diverte a rovesciare il mondo fondato sulla presunta serietà degli uomini. In un salmo c'è scritto che «Se la ride colui che abita i cieli!» (Sal 2,4). Chi allora si mette dalla parte di Dio, è chiamato a entrare in questo gioco di ribaltamento della realtà: la gioia, l'umorismo e serenità, e anche la fede, sono un vedere il mondo «alla rovescia». |