Omelia (21-05-2006) |
Comunità Missionaria Villaregia (giovani) |
Una bomba inesplosa Giovanni è il " testimone oculare " per eccellenza di Gesù; fu con lui fin dalla prima ora (cf. Gv. 1, 33s.); insieme con Pietro e con Giacomo suo fratello, assistette alla Trasfigurazione e all'agonia di Gesù nel Getsemani (cf. Mc. 14, 33) e fu tra i primissimi testimoni della risurrezione (cf. Gv. 20, 2ss.). Egli stesso si presenta nel Vangelo come " colui che ha visto " (Gv. 19, 35). Più spesso ancora, tuttavia, Giovanni si presenta come " il discepolo che Gesù amava" (cf. Gv. 13, 23; 19, 26; 20, 2). La sua testimonianza principale non riguarda le cose fatte da Gesù, ma il suo amore. Il Vangelo di questa domenica ce lo fa ascoltare proprio in questa veste di testimone dell'amore di Cristo. Ed ora chiniamoci più da vicino sulla Parola. Che cosa vi leggiamo? Come il Padre ha amato me, cosi anch'io ho amato voi; amatevi gli uni gli altri. Vi troviamo descritta la struttura a tre piani dell'amore: amore del Padre per il Figlio suo Gesù Cristo; amore di Gesù Cristo per gli uomini; amore degli uomini tra di loro. Altre volte, abbiamo avuto occasione di parlare dell'uno o dell'altro di questi amori: dell'amore di Dio, dell'amore di Cristo, o di quello del prossimo. Oggi, cogliere la loro unità e la legge interiore che la governa. Questa legge si chiama agape. L'amore puramente umano, passionale e naturale - quello che con termine greco si chiama eros - è dominato da questa legge: come io ti amo, così tu ama me. ("Amami quant'io t'amo", canta la protagonista femminile di una celebre opera lirica italiana). E' l'amore di reciprocità, un primo gradino nella scala dell'amore. L'amore evangelico - detto agape o carità - spezza questo circolo chiuso che tanto facilmente diventa egoismo a due. La sua legge fondamentale è: come io ho amato te, così tu ama il tuo fratello. L'amore, in questo caso, non ristagna, ma circola perennemente e con esso circola la vita; non è puro contraccambio, ma dono che si mantiene trasmettendolo, come l'acqua che resta viva scorrendo. Gesù ci chiede di essere canali capaci di contenere l'amore che lui ci dona e che è lo stesso amore del Padre e che viene ditribuito ai fratelli là dove noi passiamo. Spesso, invece, ci ritroviamo ad essere delle dighe, che fermano a sè l'amore. E tuttavia, questo amore tutto proiettato " in avanti", cioè verso colui che dobbiamo amare, non esclude il contraccambio e la gratitudine, cioè l'amare colui dal quale siamo stati amati. Il Figlio riama il Padre (e di quale amore!) e chiede di essere riamato da noi: Rimanete dice con insistenza - nel mio amore e l'apostolo Paolo esclama: Se qualcuno non ama il Signore sia anatema (1 Cor. 16, 22). Solo che questo contraccambio e questo riamare si esprimono proprio donando a un altro l'amore ricevuto. L'importanza del comandamento nuovo scaturisce proprio da qui e Giovanni lo mette in luce insistendo su questo più che su tutti gli altri piani dell'amore. Se non si fa quest'ultimo passo - da noi ai fratelli - la lunga catena dell'amore che discende da Dio Padre resta come sospesa nel vuoto; l'amore ci arriva vicino, ma non ci tocca; noi rimaniamo fuori del suo flusso, fuori perciò della vita e della luce, perché chi non ama rimane nella morte (1 Gv. 3, 14). Quello che la parola di Dio ha voluto dirci fin qui, sembra, dunque, riassumersi in una sola frase: per essere amati, occorre amare; per ricevere amore dal Padre e da Gesù Cristo occorre darne ai fratelli. Ma sentiamo che questa è una conclusione a metà, infatti, il " poter fare " dell'uomo sembra, precedere il dono e la grazia di Dio. Il vero paradosso cristiano dell'amore risulta dall'aggiunta di quest'altra verità: Per amare, bisogna essere amati. Giovanni - il discepolo che Gesù amava - capì per esperienza che solo chi è amato è capace di amare e scrisse perciò nella sua lettera: Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo (1 Gv. 4, 19). Per primo, s'intende, non una sola volta, all'inizio, ma continuamente, perché Dio è sempre, ad ogni istante, colui che ama per primo e che previene la creatura. Questa è una legge universale e basta esaminarci un po' a fondo per scoprire quanto sia vera anche sul piano umano e psicologico; solo chi ha sperimentato, almeno inizialmente, l'amore, è capace di aprirsi ad esso, di non aver paura di amare. Per questo, chi ha sofferto nell'infanzia carenza di affetto è così spesso chiuso e diffidente ed esposto più di ogni altro alla tentazione della violenza. Per il credente, questa esperienza primordiale di amore è quella che inizia nel Battesimo con il dono infuso dell'agape (la virtù teologale della carità); ma e un esperienza che solo l'amore concreto dei fratelli può " sviluppare " e rendere cosciente. Gesù stesso sembra assegnare all'amore fraterno il compito di essere segno efficace dell'amore del Padre: "Perché il mondo sappia che tu (Padre) li hai amati come hai amato me (Gv. 17, 23)." L'amore onnipotente di Dio, ha bisogno del canale che ciascuno di noi è ver riversarsi su tutti. Dio ha condizionato, potremmo dire, la sua capacità di amare all'amore che abbiamo gli uni per gli altri. E questa è un'altissima responsabilità. Un peccatore, un lontano da Dio, saprà che c'è un Dio che lo cerca e lo perdona, se c'è un fratello che lo cerca, si interessa di lui e lo perdona in nome di Dio. Un povero, un ammalato, un anziano abbandonato, scoprirà che c'è un Padre anche per lui, se vedrà un fratello che, in nome di Cristo, si accosta a lui, divide con lui il suo pane e prende per sé un po' della sua tristezza. Dio ci ha fatti solidali e responsabili gli uni de-gli altri; vuole che chi ha fatto l'esperienza di essere amato da Dio cerchi di portare altri a fare la stessa esperienza nel solo modo possibile, cioè amandoli e amandoli concre-tamente, non a parole, né con la lingua, ma coi fatti e in verità (1 Gv. 3, 18). Attualmente in quasi tutte le cappelle della missione sono nati i Gruppi di Solidarietà, formati da persone desiderose di aprire il cuore e dare il tempo, per i fratelli più bisognosi. Pur essendo a loro volta povere, la povertà non impedisce loro di essere il cuore, le mani e i piedi di Gesù che ama, tocca e raggiunge tutte le situazioni di estrema necessità. Si riuniscono settimanalmente e, dopo un momento di preghiera, analizzano la situazione delle famiglie visitate durante la settimana, esaminano i casi più urgenti, fanno un loro "bilancio economico" e programmano alcune attività per avere i fondi necessari. La creatività entra subito in azione: ciascuno mette a disposizione i suoi doni e vengono organizzate vendite di piatti tipici o altre attività suggerite dalla fantasia dell'amore. Contribuiscono, inoltre, alle spese per una visita medica o per le medicine necessarie ai malati più poveri che si presentano al Centro Medico della missione. A "Dos Cruces", una nuova invasione di "chozas" in cima alla collina, abbiamo conosciuto Gloria, una giovane mamma di 24 anni con in braccio una bambina di 5 anni. La piccola è affetta da un tumore che le impedisce di camminare, di sostenersi da sola e di parlare. Tutti i giorni Gloria scende dalla collina per portare la piccola in un centro specializzato dove è sottoposta ad una terapia. Quando l'abbiamo incontrata era sudata, sfinita: è faticoso portare in braccio la bambina salendo e scendendo dalle colline di sabbia e di pietre. Il Gruppo Solidarietà della cappella Maria Misionera le ha procurato un passeggino, alcuni indumenti per la figlia e le ha detto che per le medicine può fare riferimento al Centro Medico della missione. Davanti a questi gesti, Gloria non si è sentita sola nel caricare il peso di questa situazione e, più volte, ha ringraziato perché, attraverso questi fratelli, ha sperimentato che il Signore non l'ha abbandonata nel suo dolore. L'infinita potenza dell'amore di Dio rimane allora una bomba nucleare inesplosa finché non amiamo i fratelli. L'amore all'altro è ciò che permette di disinnescare l'amore di Dio affinché raggiunga tutta l'umanità. Se proprio vogliamo far esplodere bombe... proviamoci con l'amore! |