Omelia (21-05-2006) |
don Roberto Rossi |
Questo vi comando: amatevi! La radice, la sorgente, il cuore dell'esperienza cristiana è l'amore: l'amore di Dio che genera una risposta d'amore. E' quanto ci dice la parla di Dio oggi. E' quanto ci ha illustrato papa Bendetto XVI nella sua Enciclica "Dio è amore". Il tema centrale del vangelo è il dinamismo dell'amore che dal Padre attraverso il Figlio raggiunge i credenti, i quali, a loro volta, lo seminano attorno a loro. Il punto di partenza è l'amore che intercorre tra il Padre e il Figlio. Il vocabolo scelto da Giovanni e da tutta la Chiesa nascente per indicare l'amore è il verbo agape in quanto il termine è sciolto da qualunque valenza antropocentrica, ed è libero da qualunque legame di sangue o amicizia. L'amore cristiano non è una variante delle emozioni e dei sentimenti umani. L'amore di Dio, donatoci attraverso lo Spirito, è quello attraverso il quale il credente può amare il prossimo. Contemplare, perciò, come Dio ci ama ogni giorno, dalla creazione ad oggi, e come ci amerà per sempre nell'eternità è la fonte per comprendere l'amore di Dio per noi. Da questa esperienza, che è esperienza dello Spirito, attingiamo l'amore per donarlo. L'amore ha la sua base nella contemplazione. Il Padre ama il Figlio perché questi lo riveli agli uomini, donando la propria vita per la loro salvezza e obbedendo così al comandamento del Padre. L'amore di Dio è operoso e si riversa sugli uomini, gratuitamente e al di là di ogni appartenenza. Dio, infatti, ha amato per primo e gratuitamente, offrendo agli uomini il proprio Figlio in sacrificio di salvezza, mentre essi erano ancora peccatori, nemici di Dio. L'amore divino per gli uomini è la persona stessa di Gesù. L'amore che Cristo ha verso gli uomini non è altro che il dono totale di sé e dello Spirito. Di conseguenza «rimanere nell'amore» equivale a lasciarsi abitare dallo Spirito e dalla vita di Cristo. La risposta dell'uomo consiste nell'osservare i comandamenti di Gesù. Essi sono la fede e l'amore, presentati in modo sintetico nell'espressione della Lettera di Giovanni: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato». L'amore, poi, è esemplificato da Gesù in modo inequivocabile: amare significa «dare la vita». Gesù non lo poteva chiedere senza darne per primo l'esempio più alto. In questo modo Gesù diventa causa e modello dell'amore del discepolo. Il discepolo, infatti, ha solo il compito di «imitare» il maestro in quelle situazioni in cui Dio lo chiama. La chiamata essenziale per ogni credente è quella di essere discepolo di Gesù. Essere scelti e chiamati amici non sono espressioni poetiche di Gesù, ma sono la novità del discepolato cristiano. "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri", ci dice Gesù. "Questo vi comando". Come prima cosa non dice di pregare di più, di accendere candele, di fare pellegrinaggi o pratiche. Ma "amatevi gli uni gli altri". Ma cosa intende Gesù con «Amatevi»? Non ha il significato delle canzonette. Neanche è da intendere in una interpretazione sentimentale e pia che riduce tutto ad andare in giro con un gran sorriso. Per Gesù, amare significa dare la vita per i propri amici. Che sono tutti, anche coloro che non conosciamo, che non ci sono simpatici. Anche coloro che ci crocifiggono. L'amore che Gesù ci chiede è quello del samaritano. Che vede, ha compassione, si fa vicino. Che interviene subito in prima persona: fascia le ferite all'uomo con olio e vino, lo carica sul somaro, lo porta al pronto soccorso, sta con lui fino al giorno dopo. Che si preoccupa della soluzione completa del problema. Questo ci comanda Gesù. Con tutti. Ogni giorno. Dovunque. Perché l'amore è da Dio e l'amore è Dio. Se vogliamo che Dio sia presente in noi e intorno a noi, dove viviamo, lavoriamo, ci muoviamo..., possiamo farlo solo con l'amore. Allora la preghiera, la messa, i pellegrinaggi, le pratiche sono un mezzo per ottenere da Dio l'aiuto ad amarci tra di noi come Gesù ci chiede. "Amatevi gli uni gli altri": questo è il comandamento. La messa e tutto il resto sono un dono per riuscire ad osservare il comandamento. Si deve tornare a dire di noi come si diceva dei primi cristiani: «Guardate come si amano». Allora la gioia di Gesù sarà in noi, e la nostra gioia sarà piena. E la nostra fede sarà vera. Il Signore vuole la nostra felicità e la felicità la troviamo nel rimanere nel suo amore e nell'amare gli altri. L'amore deve essere concreto, espresso nei fatti: "fratelli – scrive S. Giovanni – non amiamo a parole, ma con i fatti e nella verità". Ogni parola, ogni atteggiamento, ogni pensiero, ogni azione può essere un vero atto di amore o può essere, purtroppo, un peccato contro la carità. Signore, tu che sei l'Amore infinito, aiutaci ogni giorno ad amare. |