Omelia (24-06-2004)
Casa di Preghiera San Biagio FMA


Dalla Parola del giorno
Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia e si rallegravano con lei.

Come vivere questa parola?
Dopo il dolore di Elisabetta per l'impossibilità ad avere figli e dopo quell'atmosfera pesante provocata dal dubitare di Zaccaria suo marito (il dubitare della promessa di Dio!) ecco che il cielo sulla sua casa schiarisce. Nel cantico che aveva levato a Dio nell'empito del suo cuore convertito a riconoscerne i grandi benefici, Zaccaria aveva cantato la misericordia. Qui l'evangelista la pone come motivo di fondo d'una gioia che si diffonde intorno a colei che ne è ora il visibile oggetto e che afferra tutti: "vicini e parenti". Il bambino che è nato dalla donna anziana e fino ad ora sterile è un "segno" che parla anche per noi, oggi. Già il nome (che gli è imposto per volere di Dio) ha un suo significato illuminante. Significa infatti: Yahwè è favorevole. Ma poi anche questo venire alla luce rompendo la barriera dell'impossibilità a concepire e a partorire per sterilità e vecchiaia è un inno a quel "niente è impossibile a Dio" che l'Angelo aveva dato come chiave-garanzia delle verità dell'annuncio a Maria. L'empito, il flusso incontenibile della misericordia di Dio non ha più trovato ostacolo nella casa di Elisabetta e Zaccaria. E ciò ha permesso a Dio di porre la premessa della salvezza, suscitando Giovanni il precursore di Gesù, colui che preparerà i cuori all'incontro con lui, all'ascolto della sua parola. E – attenzione! – la gente, a questo crocevia della storia, non si chiude in se stessa, percepisce (sia pure vagamente) le grandi cose che Dio sta per fare e se ne rallegra. Concretamente si rallegra con la vecchia Elisabetta, aprendo così cerchi di consenso a Dio e di una gioia semplice, tutta giocata sul saper partecipare alla contentezza di chi vive accanto a loro.

Oggi, nel mio rientro al cuore, voglio chiedermi in tutta franchezza se sono una persona che si è educata a saper gioire per la gioia degli altri. E molto importante per la qualità umana e cristiana delle mie relazioni! Chi non sa accorgersi, fa spallucce della contentezza altrui, chi – peggio! – si lascia mordere dall'invidia, non è uomo, tanto meno cristiano: è un relitto di umanità naufragata nel non-amore egoico.

Signore, insegnami ad accorgermi della gioia degli altri, insegnami a farmene promotore e collaboratore con te, o GIOIA senz'ombra del mio vivere e del mio amare

La voce di un Padre della Chiesa
Godere con chi gode e non solo piangere con chi piange. A questo è la natura stessa che ci indirizza, e nessuno ha un cuore così di pietra da non piangere con chi si trova nella sventura; ma l'altro è caratteristico invece di un animo veramente nobile, tanto che non solamente evita di invidiare chi è fortunato, ma ne prova gioia con lui.
San Giovanni Crisostomo