Omelia (31-08-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Marco 7, 1-8.14-15. 21-23 Questi primi versetti del capitolo 7 di Marco possono sembrare a noi del 2003 questioni ridicole e controversie definitivamente superate da un pezzo: e in parte è vero, per fortuna! Dobbiamo però cogliere almeno due affermazioni importanti e valide in tutti i tempi e sotto tutti i cieli: 1. Comandamenti di Dio e tradizioni degli uomini devono essere tenuti sempre distinti: i primi hanno valore perenne e universale e quindi sono immutabili; le seconde sono provvisorie e quindi possono, e spesso devono, essere cambiate. Di conseguenza, il cristiano, e più in generale l'uomo onesto e intelligente, si rinnova in continuità ed è disponibile alle riforme e al progresso; 2. Gesù rifiuta la distinzione giudaica fra puro e impuro, fra una sfera religiosa separata, in cui Dio è presente, e una sfera ordinaria, quotidiana, in cui Dio è assente. Non ci si purifica dalla vita quotidiana cercando Dio altrove, fuori dalla vita di tutti i giorni, ma al contrario ci si deve purificare dal peccato che è dentro di noi. Gesù contesta la distinzione ormai ritenuta sicura e indiscutibile: l'ebreo è puro e tutti gli altri sono impuri. La questione del puro e impuro ha avuto una grande importanza nei primi tempi del cristianesimo, soprattutto per la partecipazione alla stessa mensa tra giudei e pagani (Gal 2,11-17). Ci ritorna alla mente la voce che Pietro sentì nella visione di Ioppe: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano" (At 10,15). I due casi specifici che questo brano prende in considerazione sono l'occasione per giungere al nocciolo della questione che interessa Gesù: non è ciò che entra nell'uomo che lo contamina, ma quello che esce dal suo cuore. Ognuno deve dare importanza alla conversione radicale del cuore. Per Gesù il cuore dev'essere pulito, libero, retto. Si tratta di creare una situazione interiore degna di Dio, perché è lì che egli si rivela e abita. "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio" (Mt 5,8). L'autenticità della vita religiosa si misura dal cuore, cioè dalle scelte libere che escono dall'interno dell'uomo. La santità non consiste in fatti esterni e superficiali, ma nella purezza del cuore. Citando il quarto comandamento, Gesù dimostra di accettare la forza vincolante della legge scritta di Mosè, ma rifiuta le tradizioni asfissianti e cavillose che contraddicono ai comandamenti di Dio più che aiutare a capirli e ad osservarli meglio. Ciò che tiene lontano da Dio le persone buone sono le tradizioni religiose staccate dall'amore, che è la loro sorgente. L'uomo è sempre tradizionalista e abitudinario. Ma il cristiano rompe con il passato perché vive una novità inaudita: la memoria del corpo e del sangue del suo Signore consegnato a lui nel pane. Questo mistero di amore è la "sua" tradizione, che ha ricevuto e, a sua volta, trasmette (1Cor 11,23ss). Il discepolo mangia questo pane e ne vive, e fonda la sua vita non sulla propria osservanza della legge, ma sulla grazia di Dio. Il principio del bene e del male è il nostro cuore buono o cattivo, illuminato dall'amore o accecato dall'egoismo. La norma ultima di comportamento per fare la volontà di Dio viene dal discernimento del nostro cuore. siamo mossi da Dio o dal demonio?, dall'amore o dall'egoismo?. S. Agostino ha scritto:" Ama, e fa' quello che vuoi!". |