Omelia (28-05-2006) |
don Fulvio Bertellini |
Con la forza della fede Il nocciolo del problema La fede è il discriminante della nostra adesione al Risorto. Dobbiamo avere questa precisa certezza. Ma stare anche attenti che una simile certezza non ci faccia stare troppo tranquilli: "Chi non crederà sarà condannato". Qui sta il punto: siamo davvero credenti? Ci fidiamo davvero del Signore Gesù? Abbiamo veramente messo tutta la nostra vita nelle sue mani, come faticosamente arrivarono a fare gli apostoli? Non al di fuori "Chi non crederà sarà condannato". Parole scomode, che però troppo facilmente siamo tentati di riferire agli "altri", a quelli di "fuori", coloro che non frequentano le parrocchie, non partecipano alla Messa, non ascoltano le omelie... e forse ci sembrano pure troppo dure, troppo esigenti. Pensiamo che Dio avrà compassione di quei "poverini" che non sono in grado di seguirlo fino in fondo, come facciamo noi... che istintivamente ci mettiamo dalla parte degli apostoli fedeli, incaricati di testimoniare Gesù. Ma dentro di noi "Chi non crederà sarà condannato". E se Gesù stesse parlando a noi? Togliamoci un attimo dal posto dei depositari della verità. Dalla posizione dei discendenti degli apostoli. Siamo noi che per primi non crediamo, non ci fidiamo di lui, non lo vediamo risorto. Qui sta già la nostra condanna: condanna a una vita insipida, tiepida, priva di luce e di slancio. Ma da dove ripartire per ritrovare la fede? Il momento del passaggio Se di nuovo ci soffermiamo sulla dinamica complessiva di tutto il capitolo 16 di Marco, troveremo che l'incredulità ha un largo spazio: gli undici sono i primi che non credono, i campioni della non-fede. Non credono alle parole di Maria Maddalena, non credono ai due discepoli che hanno incontrato il Risorto durante il viaggio. E quando Gesù appare loro, vengono duramente rimproverati perché "non avevano creduto a coloro che lo avevano visto risuscitato". Il tema della fede-mancanza di fede è dunque centrale nel brano. Ma quando gli Undici hanno cominciato a credere? E' una domanda decisiva, che non trova una risposta diretta nel testo. In nessun momento si dice esplicitamente che essi abbiano creduto: si dice solo che "il Risorto apparve loro". Ma vedere il Risorto non significa ancora credere... A partire dalla missione Si potrebbe quindi arrischiare un'interpretazione sorprendente: Gesù affida una missione a un gruppo di discepoli di cui ancora non si può dire che abbiano cominciato a credere! Forse perché egli si fida di loro prima ancora che essi abbiano pienamente fede in lui? O forse è proprio la missione che suscita la fede? Devo ringraziare don Ulisse che mi ha fatto notare un particolare decisivo nel discorso di Gesù: "Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che CREDONO". I segni non accompagnano quelli che predicano: ma quelli che credono. Non i professionisti della Parola, non necessariamente gli annunciatori ufficiali. Ma tutti quelli che credono, anche i semplici cristiani. E la conclusione del brano fa proprio rilevare che "il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano". I segni, alla fine, si sono visti. Dunque gli Undici hanno effettivamente cominciato a credere. Lo si vede dai prodigi che accompagnano la loro parola, e che sono legati alla presenza del Risorto con loro. Partendo per la loro missione, gli Undici hanno trovato la fede: "Allora essi partironoe predicarono dappertutto...". Come Abramo L'immagine degli apostoli che partono per predicare il Vangelo richiama un'altra grande figura della fede, anzi, colui che nella Scrittura è il padre della fede per eccellenza: Abramo. A lui era stato chiesto di partire per andare nella Terra promessa, agli apostoli è chiesto ugualmente di partire, e di trovare in tutto il mondo una terra promessa. Ad Abramo era stata promessa una numerosa discendenza, che gli sarebbe stata concessa nella terra di Canaan; agli apostoli è chiesto di andare incontro ad "ogni creatura", ritrovando in ogni uomo come un figlio di Dio e un fratello in Cristo. Noi credenti oggi siamo il compimento della promessa ad Abramo e della promessa ai discepoli. Ma ci è chiesto anche di continuare a credere, come loro. Siamo pronti a partire? Flash sulla I lettura "Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo": la missione dei discepoli non è una missione puramente umana, ma divina: nel senso che opera una trasformazione profonda della persona (i primi padri della Chiesa parlano di "divinizzazione") ad opera dello Spirito Santo. Senza lo Spirito la missione della Chiesa diviene pura propaganda, e la sua instaurazione equivalente a quella di qualsiasi altro gruppo umano (con il grave pericolo di deviazioni ed abusi). "Avrete forza dallo Spirito Santo": l'ascensione del Risorto significa anche lasciar spazio all'opera dello Spirito: il Risorto non agisce più direttamente, ma attraverso l'opera dei discepoli, non opera più con la sua presenza fisica, ma con il dono dello Spirito alla sua Chiesa. "Perché state a guardare il cielo?": la vita cristiana è pellegrinaggio, nell'attesa del Risorto e sostenuto dallo Spirito. La sua qualità ultraterrena però non significa perdersi nella pura contemplazione delle "cose di lassù": proprio la prospettiva del ritorno di Cristo ci spinge a guardare alla terra, ad essere i suoi testimoni qui ed ora. Flash sulla II lettura "Cercando di conservare l'unità dello Spirito": sono possibili tanti modi di intendere l'unità nella chiesa: in senso gerarchico (obbedienza e compattezza attorno al Papa, ai vescovi, ai presbiteri, o ad altre guide carismatiche che più o meno correttamente si sostituiscono ad essi). Oppure in senso emozionale-affettivo (che punta al "sentirsi uno", all'emozione percepibile, sia nel piccolo gruppo, sia in aggregazioni più vaste, sia nei grandi eventi). O ancora in senso dottrinale, in senso liturgico e via dicendo, con varie accentuazioni e varie combinazioni, che però rischiano di discendere più dalle personali impostazioni umane, più che dalla Parola divina. "... per mezzo del vincolo della pace": la nostra cultura è ancora sensibile al mito o alla nostalgia dell'unità e della pace: la lettera agli Efesini ci parla dell'unità dello Spirito e della pace che viene dal Risorto. "Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati": vengono richiamati tutti gli elementi che concorrono a formare l'unità in Cristo, che vanno accuratamente tenuti insieme, se non vogliamo inseguire una vana unità di tipo umano, e lasciar perdere quella autentica, che è dono di Dio stesso. "Un solo Dio padre di tutti": in effetti ogni espressione è un richiamo a Dio, ha lui per protagonista, evidenzia l'iniziativa che parte da lui, la sua chiamata: prima che essere aspirazione umana, l'unità è un dono. "Finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio": oltre che dono, l'unità è il punto di arrivo, che trova la sua realizzazione piena soltanto alla venuta di Cristo. Il che ci rende estremamente umili. Qualunque sia il nostro posto nella chiesa (ne vengono elencati alcuni, secondo la strutturazione del tempo: apostoli, profeti, evangelisti, pastori, maestri...) siamo al servizio di qualcosa che resta più grande di noi, che non si lascia controllare e manipolare. |