Omelia (18-06-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Sacrificio e alimento vitale Tutte le volte che celebro la Messa dei fanciulli, non appena sto per iniziare la proclamazione del al Canone della consacrazione suggerisco sempre ai ragazzi un piccolo esercizio che (per fortuna) coinvolge automaticamente anche i più grandi: " Adesso chiudete gli occhi, ascoltate con attenzione le parole che ora pronuncerò, immaginate la scena in cui si consumano questi avvenimenti e fate finta di trovarvi voi stessi nel bel mezzo del luogo in cui essi si verificano; immaginate cioè che anche voi facciate parte del gruppo degli apostoli a cui Gesù rivolge queste parole e a cui poi distribuisce il pane e il vino..." Quando in un secondo momento chiedo loro di commentare le loro impressioni su questo esercizio e su che cosa li abbia colpiti maggiormente, fioccano sempre tanti pensieri e considerazioni importanti; e quello che maggiormente riscontro in alcuni ragazzi è che essi giungono alla conclusione culminante dell'argomento Eucaristia, omettendo ogni superficialità e cogliendo nel segno sul fatto che "Gesù offre il suo sangue", vale a dire che non soltanto si presenta nel pane e nel vino invitando tutti a mangiare di lui ma "offre il suo sangue, quindi vuol dire che si fa' ammazzare per noi"... Sicché in poche parole semplici i ragazzini spiegano quello che a proposito della celebrazione eucaristica viene definito il "memoriale", cioè l'atto con cui si fa' memoria comunitaria del sacrificio compiuto da Cristo sulla croce una volta per tutte, oltre duemila anni or sono. Anche in altre parti della Scrittura, il memoriale non è però limitativo alla rievocazione degli eventi passati, ma è anche l'attualizzazione di essi, la loro ripresentazione e il loro dispiegarsi ai nostri occhi, cosicché avviene che nella Messa il sacrificio di Cristo sulla croce di cui noi facciamo memoria, seppure ormai consumatosi secoli fa', ci si ripresenta come attuale e noi lo vediamo nella fede come riproposto e attualizzato. In questo senso allora l'Eucarestia è Sacrificio. Appunto perché essa ripresenta nella piena attualità l'atto sacrificale con cui Cristo diede il suo sangue per la nostra redenzione e con il quale realizzò pure la nuova ed eterna alleanza: quello che si perpetua nelle parole del sacerdote è infatti il medesimo sangue con cui Egli ci ha riscattati e redenti, il sangue quindi salvifico e riparatore con il quale siamo stati "comprati a prezzo"; così pure quello che ci viene proposto nelle mani del sacerdote celebrante è il Corpo reale di Cristo che ci ha salvati e redenti nell'oblazione di se stesso sulla croce e a rendere chiaro questo concetto è la Seconda Lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei che mette a raffronto il sacrifico di Cristo con le altre oblazioni sacrificali dell'Antica Alleanza: se nell'Antico Testamento era necessario che si entrasse ripetutamente nei santuari per sacrificare a Dio in riscatto dei peccati del popolo, adesso Cristo entra "nel santuario (di se stesso) una volta per tutte" in quanto è proprio nel suo corpo che si realizza il sacrifico di espiazione. Se prima di Lui l'espiazione dei peccati si verificava per mezzo del sangue delle vittime animali, adesso è sufficiente il Suo stesso sangue a riscattare l'uomo dal peccato sicché è importante che nella celebrazione dell'Eucarestia prendiamo in considerazione il sacrificio espiatorio della croce che ci viene ripresentato come attuale: si tratta dell'immolazione cruenta che è costata a Gesù un caro prezzo, pagato per la nostra salvezza e per la novità di vita del suo nome cosicché il fatto che adesso gli uomini si possano salvare non si deve alla competenza o alle capacità ingenite di alcuno, né alle opere buone e agli atti di amore di cui presumiamo di essere capaci: se pure questi saranno sempre graditi a Dio, non sono sufficienti in se stessi a guadagnarci la salvezza, che piuttosto è da attribuirsi alla volontà libera del Figlio di Dio di offrire se stesso come sacrificio di espiazione. Certo l'Eucarestia è anche alimento di vita. Da qualche parte si afferma che i termini "Eucarestia" ed Eucaristia" solo apparentemente sono dei sinonimi e racchiudono in se stessi una differenza dottrinale e liturgica: con "Eucarestia" si designa infatti la celebrazione del sacrificio sull'altare da parte del sacerdote, così come l'abbiamo descritta. Per "Eucaristia" si deve intendere invece la consumazione delle particole consacrate da parte del fedele quando si comunica al termine della Messa (cfr Wikipedia). Personalmente non mostro interessa per codesta differenza semantica in quanto penso sia indispensabile sottolineare senza mezzi termini che il Corpo di Cristo che la Consacrazione della Messa rende reale e sostanziale è lo stesso Corpo di cui noi ci nutriamo alla mensa comune domenicale: il Corpo di Cristo è alimento di vita per tutti coloro che intendono realizzare la comunione con Dio stesso e fra di loro nella compagine liturgica e non può essere che riconosciuto come "il pane vivo disceso dal cielo" che dona senso alla vita personale e comunitaria del fedele attribuendo costanza, forza e determinazione nelle vicende della vita di tutti i giorni. Nell'Eucarestia è contenuta tutta la ricchezza spirituale della Chiesa (CCC) perché è lo stesso Cristo realmente presente e operante per il nostro benessere materiale e spirituale e per questo non possiamo fare a meno di nutrircene tutte le volte che partecipiamo alla Messa anche considerando il monito dello stesso Signore "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue avrà in se la vita e io lo risusciterà nell'ultimo giorno", oppure ancora... "Prendete e mangiatene tutti.... Fate questo in memoria di me". La consumazione da parte nostra del Corpo del Signore ci rende maggiormente solleciti nel considerare Lui come il Risorto che ci ha inviati a recare testimonianza di sé nel mondo e che ci ha rivestiti di una forza particolare dall'alto che è lo Spirito Santo per la nostra comunione e appunto nel nutrirci di questo Corpo noi riscopriamo la comunione con Lui e di conseguenza fra di noi mentre aspettiamo il suo ritorno glorioso alla fine dei tempi. Nutrirsi del Corpo e del Sangue di Cristo equivale però anche a qualificare al meglio la nostra vita, a coltivare la speranza, a farci forti della presenza del divino nella storia umana per assumere tutta la vita con coraggio e costanza d'animo ed è per questo che nelle nostre assemblee liturgiche non possiamo fare a meno di assumere il Corpo con gioia e responsabilità personale, ben coscienti di Colui che stiamo per ricevere dalle mani del sacerdote e omettendo ogni sorta di abuso o profittazione del Sacramento: il pane vivo disceso dal cielo merita molta attenzione e disponibilità a che noi predisponiamo noi stessi a riceverlo con fede e disinvolta apertura del cuore perché possiamo trarre da Esso il pane indispensabile alla reale sopravvivenza. |