Omelia (11-06-2006) |
mons. Vincenzo Paglia |
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo La liturgia della Chiesa, in questa prima domenica dopo Pentecoste, celebra la festa della Santissima Trinità. E non è casuale mettere in relazione la Chiesa, che muove i primi passi nel giorno della Pentecoste, con il mistero della Trinità. I discepoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, escono dalle mura ristrette e chiuse della casa, ove si trovavano "per paura", ed iniziano a comunicare il Vangelo e a battezzare i primi convertiti alla fede. Obbedivano così a quanto Gesù aveva loro ordinato prima di lasciarli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28, 19). Nel giorno di Pentecoste la confusione delle lingue e la divisione del genere umano, simboleggiate da Babele (Gn 11, 1-9), vennero vinte dalla predicazione evangelica che, senza distruggere le differenze dei linguaggi, riuniva i popoli della terra nell'unica famiglia di Dio. Nella festa della Trinità Dio squarcia il velo che copre il suo mistero, rompe il silenzio sulla sua vita (la parola greca "mysterion" significa appunto "tacere") e ci fa cogliere la verità sul mondo fatto, appunto, a sua immagine e somiglianza. Le Scritture sottolineano in ogni pagina l'inconoscibilità del mistero di Dio. Egli abita in una luce invalicabile che "l'uomo non può vedere continuando a restare in vita". Dio stesso rompe il silenzio – e solo Lui poteva farlo – per rivelarsi agli uomini all'interno della storia "con prove, segni, prodigi e battaglie, con mano potente e braccio teso", come dice la lettura odierna tratta dal primo dei tre discorsi solenni di Mosè nel Deuteronomio. E non basta. Dio, dopo aver "parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio"(Eb 1, 1-2), aggiunge la Lettera agli Ebrei. E nel giorno di Pentecoste, dal cielo il Signore Iddio ha riversato sui discepoli lo Spirito Santo perché fosse lui – come aveva detto lo stesso Gesù – a guidarli verso la verità tutta intera. Ebbene, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che oggi contempliamo nella Trinità, sono la radice, la fonte, il sostegno della Chiesa nata nel giorno di Pentecoste, segno dell'unità di tutto il genere umano. La Chiesa non nasce dal "basso", ossia non è il risultato della convergenza degli interessi delle persone che la compongono, non è il frutto dell'impegno o dello slancio di cuori generosi, non è la somma di tanti individui che decidono di stare assieme, non è l'associazione di persone di buona volontà per realizzare uno scopo nobile. La Chiesa viene dall'alto, dal cielo, da Dio. E, ancor più precisamente, da un Dio che è "comunione" di tre persone. Esse – proviamo a balbettare qualche parola – si vogliono a tal punto bene l'una con l'altra da essere una cosa sola. Da tale comunione d'amore nasce la Chiesa e verso tale comunione essa cammina, trascinandosi l'intera creazione. La Trinità è origine e termine della Chiesa. Come è origine e termine della stessa creazione. Per questo la Chiesa è anzitutto e soprattutto mistero; mistero da contemplare, da accogliere, da rispettare, da custodire, da amare. Ed è un mistero di comunione. Solo in questa prospettiva si può comprendere la Chiesa come comunità, come un corpo strutturato. Pertanto chi ascolta il Vangelo con il cuore non è solo accolto in una comunità organizzata, è soprattutto accolto nel mistero stesso della Trinità, nella comunione con Dio. Noi viviamo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Ed è un grande e inestimabile dono. Ma è anche un compito. La Chiesa che nasce a Pentecoste non è neutra; essa ha nella sua stessa costituzione una vocazione: il servizio dell'unità e della comunione. Mentre il mondo in cui viviamo sembra stregato dagli egoismi di singoli, di gruppi, di categorie, di nazioni che non sanno (spesso non vogliono) alzare lo sguardo oltre il proprio particolare, oltre i propri interessi cosiddetti nazionali, la Chiesa della Pentecoste, nata dalla Trinità, ha il compito di ricreare la carne lacerata del mondo, di ritessere la comunione tra i popoli. Lo Spirito effuso nella comunità dei credenti dona una nuova energia, come scrive Paolo nella Lettera ai Romani: "voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli"(Rm 8, 15); e Gesù, prima di inviare gli apostoli, dice loro: "io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo" (Mt 28, 20). La forza che il Signore dona ai suoi figli cura la carne dell'umanità ferita dall'ingiustizia, dalla cupidigia, dalla sopraffazione, dalla guerra, e costituisce l'energia per alzarsi e incamminarsi verso la comunione. Era il disegno di Dio sin dall'inizio della creazione. C'è, infatti, una corrispondenza tra il processo creativo e la vita interna di Dio stesso. Non a caso Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo". L'uomo – inizialmente significava sia uomo che donna – non era stato creato ad immagine di un Dio solitario, ma di un Dio amore. Ogni singola persona e l'umanità intera, non saranno se stesse al di fuori della comunione. Solo all'interno della comunione potranno salvarsi. A ragione, perciò, il Vaticano II ricorda a tutti i credenti che Dio non ha voluto salvare gli uomini singolarmente, ma radunandoli in un popolo santo. La Chiesa nata dalla comunione e ad essa destinata, si trova perciò ad essere impegnata nel vivo della storia di questo inizio di millennio come lievito di comunione e di amore. È un compito alto ed urgente che rende davvero meschine (e colpevoli) le liti e le incomprensioni interne. Sono le liti all'interno delle nostre comunità, sono le divisioni all'interno delle Chiese cristiane, sono le divisioni che lacerano la comunione tra i popoli. Chi resiste all'energia di comunione diviene complice dell'opera del "principe del male" che è spirito di divisione. Per questo l'apostolo Paolo, per farci sentire l'urgenza della comunione, può ripetere ancora oggi: "che il sole non tramonti sulla vostra ira"(Ef 4, 26). La festa della Trinità è un invito pressante ad inserirci nel dinamismo stesso di Dio a vivere la sua stessa vita. Il Signore realizza la salvezza – come dice il Vaticano II – raccogliendo gli uomini e le donne attorno a sé in una grande e sconfinata famiglia. La salvezza si chiama, appunto, comunione con Dio e tra gli uomini. |