Omelia (18-06-2006)
don Marco Pratesi
Il rito del sacrificio perenne

Il prefazio della festa odierna acclama l'Eucaristia come "il rito del sacrificio perenne" in cui Gesù è la "vittima di salvezza".
Bisogna fare attenzione su questo punto, perché l'idea di 'sacrificiò fa parte della religiosità naturale, e si può facilmente distorcere la Parola di Dio. Da sempre abbiamo in testa che a Dio piaccia la morte, il sangue. Non per caso l'uomo ha pensato anticamente che Dio volesse i sacrifici umani.
Tradotta in termini nostri, questa mentalità religiosa significa che per andar bene a Dio devo sacrificarmi, mortificarmi, fare qualcosa che mi scomoda, mi fa star male. Questo è l'unico modo che ho per influire su Dio, portarlo dalla mia parte, ottenere quello che voglio. Non ho strumenti per piegare Dio, l'unica cosa che mi dà 'potere' su di lui è il sacrificio, dargli qualcosa di mio. Bisogna mercanteggiare con Dio, e la merce di scambio è la mia vita: tempo, denaro, cose, etc. Più do più ricevo, maggiore il sacrificio maggiore il favore di Dio: è il classico "do perché tu mi dia". Pensiamo che fare/dare delle cose per Dio ci dia diritto alla sua protezione; se Dio poi non ci aiuta ci sentiamo imbrogliati.
Questa idea però è fasulla. Dio non è così, e non ci chiede proprio niente. Anzi, è lui a darci tutto. E tutto quello che ci dà lo dà gratis. Il problema è che non ci crediamo, attribuendo a Dio un secondo fine, perché proiettiamo il nostro modo di essere su di lui.
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio» (Gv 3,16). Si capovolge la nostra idea. Dio non chiede la mia vita, mi dà invece la sua. Dobbiamo cambiare idea su Dio. È Dio stesso che dà la vittima per il sacrificio: Gesù, che si dona al Padre e a noi. Attraverso essa, mangiandola, noi entriamo in comunione con Dio. Celebrare l'Eucaristia significa celebrare il dono di Dio e accettarlo sempre nuovamente, facendone il proprio nutrimento. Ci nutriamo di Gesù, vittima bruciata nell'olocausto dell'amore di Dio: "Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa". Tutto questo - ripetiamolo - è gratis, non dobbiamo meritarlo. Non ci è dato perché siamo (stati) bravi, ma perché Dio ci ama.
Certo: accettare questo dono ci impegna. Se ci rendiamo conto del dono, se facciamo esperienza della gratuità di Dio, non possiamo restare come prima. Ricevere il dono gratuito e totale di Gesù ci impegna a rispondere donando gratis e completamente. Quando l'amore è accolto genera una risposta di amore, l'unica risposta adeguata. Non cerco più di calcolare il dare e l'avere: smetto di calcolare e desidero rispondere alla gratuità di Dio con la mia gratuità.
Se ciò non avviene, "ho accolto per nulla la grazia (= la gratuità) di Dio" (2 Corinzi 6,1): il suo dono in me non produce niente, rimane sterile. Non c'è sorpresa, non nasce la lode, la meraviglia, la voglia di rispondere con la gratuità. Non me ne accorgo nemmeno, insensibile resto nella vecchia mentalità mercantile.
Il sacrificio di Gesù si rinnova nella Messa perché chi vi partecipa goda nuovamente di questo dono di Gesù, e si metta in gioco offrendo a Dio se stesso. Dio guarda di nuovo con amore al gesto del Figlio e ci invita a rispondere con il nostro amore.
La Messa ci spinge a fare come Gesù. In essa chiediamo a Dio che faccia anche di noi un dono, un sacrificio, un'offerta a Dio, e in lui ai fratelli. Il sacrificio di Gesù fa della nostra vita un sacrificio che offriamo a Dio. Lo chiediamo allo Sirito Santo: "egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito". Questo è il sacerdozio comune dei fedeli: ogni battezzato è sacerdote, perché può fare della propria vita un dono che Dio gradisce. Senso più alto non può esserci che questo unirsi a Cristo, "sacerdote vero ed eterno".

All'offertorio:
Pregate fratelli e sorelle perché questo dono, questo sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente.

Al Padre Nostro:
Chiediamo con fiducia al Padre il pane per la vita del corpo e dello spirito: