Omelia (18-06-2006) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Commento a Mc 14,12-16.22-26 Concluso il Tempo di Pasqua, e, celebrato il grande Mistero di Dio, nella solennità della Santissima Trinità, quasi all'inizio del Tempo Ordinario, il tempo liturgico che accompagna il nostro quotidiano, attraversato dal mistero della Salvezza, la Chiesa ripropone un evento, già celebrato alla fine della Quaresima; il giovedì "santo", infatti, ricorda e rende attuale l'istituzione dell'Eucarestia, memoriale del sacrificio di Cristo Redentore, segno estremo dell'amore con cui il Figlio di Dio ha amato tutti gli uomini, di tutti i tempi; "Prima della festa di Pasqua, scrive l'evangelista Giovanni, sapendo Gesù, che era venuta la sua ora, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine..." ( Gv.13,1) Durante il Triduo Pasquale, l'attenzione dei fedeli è fortemente presa dalla drammaticità degli eventi, e, quasi sicuramente, presso di loro ciò, che ha maggior risonanza, è la morte e la Resurrezione del Signore; così, questa celebrazione, dà nuovo risalto al mistero del Corpo e Sangue di Cristo, presente sotto le specie del pane e del vino; essa non si esaurisce nella Messa, ma si completa con la solenne processione, durante la quale, il Signore Gesù, presente nel Santissimo Sacramento, percorre le strade delle nostre città, di tutto il mondo cristiano, segno, non solo della Sua presenza tra noi, ma anche segno che, Lui stesso, si è fatto nostra Via. Lui che percorre le nostre strade, Lui che è compagno sostegno e luce nel nostro cammino, e nel cammino di tutta la Storia, Lui si mostra ancora, e i suoi fedeli lo annunciano, come Via, l'unica che conduca alla salvezza, a quella eterna e definitiva, ed a quella temporale, nel nostro mondo inquieto e lacerato. C'è poi, e non è certo trascurabile, proprio in questa solennità, un rinnovato invito a "stare" davanti al Signore, a fermarsi in adorazione, dinanzi a Lui; un'adorazione che non ha bisogno di parole, perché un cuore riconoscente e capace di riamare, nel silenzio e nell'esultanza interiore, sa esprimere, meglio che con le parole, la lode al suo Dio e Salvatore. Stare in adorazione, e portare nel cuore, un atteggiamento adorante, non è una qualunque devozione, ma un atto di giustizia di fronte a Dio, che si è rivelato, in Cristo, Amore infinito e misericordioso, ed è, inoltre, anticipazione di quella che sarà la grande liturgia finale, quando, tutta la creazione rinnovata, sarà illuminata dalla luce dell'Agnello e dalla presenza del Padre e dello Spirito. L'adorazione, dunque, è un segno profetico, oltre che un momento privilegiato di comunione con Dio. E' nel segno della comunione, che Gesù, in quell'ultima Pasqua consumata coi suoi, i dodici, giacché neppure il traditore fu escluso dal convitto fraterno, trasformò il pane azzimo e il calice del vino, nel suo corpo e nel suo sangue: il corpo che sarà offerto, di lì a poco, sulla croce, e il sangue, versato fino all'ultima goccia, quella che uscì, dopo il colpo della lancia. Il racconto dell'istituzione dell'eucarestia, in questa domenica, lo rileggiamo nel racconto di Marco: "Il primo giorno degli Azzimí, quando si immolava la pasqua..." L'evangelista richiama l'antica festività ebraica, il ricordo della liberazione dalla schiavitù dell'Egitto, quella notte memorabile e solenne, durante la quale, immolato l'agnello sacrificale, lo si consumava tutto, all'interno della famiglia, i piedi, in fretta, accompagnato da erbe amare e dal pane azzimo, il pane dei lunghi spostamenti, che non si deteriora, mentre il sangue, avrebbe segnato gli stipiti delle porte, per la salvezza degli ebrei. Una celebrazione che aveva un'importanza vitale, come vitale è il segno della nuova Pasqua, introdotta dal Cristo. L'Eucarestia, corpo veramente offerto nella morte, e sangue versato per la remissione dei peccati, è il segno della continua presenza di Cristo morto e risorto, ancora, e sempre, offerto e offrentesi per l'uomo che, ieri come oggi, come domani, ha bisogno di redenzione e di perdono. Come S.Tommaso insegna: "I sacrifici dell'antica legge, contenevano il vero sacrificio della passione di Cristo, soltanto nella modalità della figura...il sacrificio della nuova legge, istituito da Cristo, ebbe in più, la prerogativa, di contenere lui stesso, che ha patito, non solo nella forma del segno, ma nella verità..." ( S. Th.III, 75,1c ). Ecco perché, sempre, Tommaso, avverte: "..quando ti accosti al tremendo calice, accostati esattamente, come per bere dallo stesso costato di Cristo..." ( ib.III,79,1, c.) Se anticamente, l'alleanza tra il popolo eletto e Dio, veniva sancita col sangue di un animale, comunque segno della vita, con Cristo, quella stessa alleanza diventa comunione, nel sangue dello stesso Figlio di Dio; comunione che si perpetua nel dono dell'eucaristia, vero pane disceso dal cielo, pane dato dal Padre, vero sangue che rimette i peccati e dà nuova vita, nuovo vigore per compiere il cammino verso la Patria. «Prendete, questo è il mio corpo...questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti. ..» " Ecco il pane degli angeli, canta la sequenza, pane dei pellegrini, aero pane dei figli..." " C'è, nell'evento pasquale e nell' Eucaristia che lo attualizza nei secoli, una "capienza" davvero enorme, recita l'Enciclica "Ecclesia de Eucaristia", nella quale l'intera Storia è contenuta, come destinataria della grazia della redenzione..."( n.5 ). Davanti alla portata immensa di questo sacramento, che veramente ci fa essere uno-in-Cristo, non può che esserci lo stupore della contemplazione e il gaudio immenso di un cuore riconoscente, che muove i nostri passi nella sequela fedele di Cristo, nostro sommo sacerdote, capace di comprendere ogni nostra debolezza e risanarla. "Fratelli, scrive l'autore della Lettera agli Ebrei, Cristo, venuto come sommo sacerdote di beni futuri, attraverso una Tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di' uomo, cioè non appartenente a questa creazione, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna. ( Eb 9, 11 15) Cristo, crocifisso e risorto è, allo stesso tempo, pontefice e ponte, per usare, ancora una volta, una splendida immagine di Caterina da Siena. Cristo è il ponte tra l'umanità in cammino e Dio, su questo ponte, chiunque voglia raggiunger la salvezza deve camminare, senza timore di sbagliare, e senza timore di stancarsi; nel ponte infatti c'è un punto di ristoro, in cui ritemprare le forze, rifocillarsi e, soprattutto, dissetarsi: è il costato aperto di Cristo, lì, ogni pellegrino affaticato è accolto, lì troviamo il dono grande dell'amore che si è fatto Eucaristia per noi, lì possiamo bere il sangue dell'Agnello; lì, infine, pur essendo molti, ci ritroviamo uniti e fratelli, perché redenti nell'unico Sangue. Sr Maria Giuseppina Pisano o.p. Monastero domenicano SS.mo Rosari mrita.pisano@virgilio.it |