Omelia (18-06-2006) |
don Mario Campisi |
Il cristiano, ostensorio credibile dell'amore di Cristo Le tre letture di oggi presentano un gruppo esemplare unificato con un tema di evidenza assoluta: Dio, nel sangue di Cristo, ha stretto con noi una nuova alleanza. Quella stipulata con Israele, con la mediazione di Mosè, ha segnato una tappa (1^ lettura). Gesù al termine della sua vita offre il suo sangue e parla di nuova alleanza (Vangelo). In lui conseguiamo una "redenzione eterna" (2^ lettura). Ad ogni tappa troviamo il sangue: sede della vita, l'immolazione, l'aspetto doloroso, ma anche sorgente di un'amicizia nuova. La gioia di essere salvati trasforma il sacrificio della croce in un festoso ed impegnativo banchetto. Nel linguaggio di oggi, "alleanza" è un termine equivoco, sotteso a situazioni politiche confuse o a parentesi tra guerre. Allora per aggirare un certo sospetto, sarà opportuno evidenziare due aspetti: "alleanza" è superamento di uno stato di conflittualità permanente, mediante un atto di pacificazione o riconciliazione; "alleanza" è comunque sempre volontà di comunione o di unione fraterna carica di responsabilità in diaologo. L'alleanza non può che avere un'unica risonanza: Dio ama l'uomo, alla sua maniera, fino al sacrificio del suo Figlio. La morte in croce non ha nulla del rituale, ma nell'ultima cena Cristo ha scelto i segni sotto i quali perpetuare la sua "ora" e abilitare gli apostoli a fare altrettanto. Occorre superare una certa teologia manualistica del passato, tesa solo a dimostrare la "realtà" della presenza di Cristo. L'esperienza conviviale va tutta permeata di gioia e di riconoscenza, perché il "Servo sofferente" ha vinto la morte, dunque è "Signore". C'è difficoltà a mettere l'Eucaristia al centro. In una giornata come questa mi sembra provvidenziale interpellarci sulle omissioni delle nostre comunità, sul macroscopico abbandono della maggioranza anagrafica dei cristiani, sull'inefficacia del formalistico "precetto". O la celebrazione eucaristica torna ad essere un convito gioioso e trasfigurante, oppure continuerà nella sterilità di una catechesi infantile da "prima comunione" che nessun rinnovamento potrà rimuovere. E' necessario «offrire celebrazioni credibili, che rivelino il volto paterno di Dio, il suo giudizio misericordioso e l'amore ai fratelli» (CCM, 37, 1986). L'Eucaristia è soprattutto una realtà. Si tratta di una Presenza che è nell'umanità a partire da un certo momento della storia, fa parte di un progetto divino e che la Chiesa possiede fin dalle origini. Una volta questa festa era circondata da grande splendore, in parte, se si vuole, folcloristico, certamente spontanea. E si andava in processione. Aveva una sua suggestione e un suo simbolismo: il gesto del camminare insieme rispondeva al bisogno primario di quell'aggregazione con cui un gruppo (la Chiesa) acquista coscienza. La comunità era potenziata dalla sua unità. E la strada si animava, era fatta vivere dall'incalzare di una presenza. Oggi in processione gli "ostensori" sono due. Uno contiene, fa da supporto, all'Eucaristia, serve a Cristo, che si è posto nelle nostre mani, per camminare ancora tra la sua gente, con gli occhi vigili in cerca di Zaccheo, della Maddalena, dei lebbrosi, dei malati, dei bisognosi di pace e di riconciliazione. E' una processione molto più simile alla "Via Crucis" che a quella del piccolo effimero trionfo della giornata delle Palme. L'altro "ostensorio" siamo noi, col nostro cammino stanco, dietro a "baldacchini" traballanti, resi pesanti e opachi da incongruenze e da defezioni. A tal proposito la più grande obiezione contro il cristianesimo è il comportamento di molti cristiani. Soltanto che in processione lo si mette all'asta. Anche in questo contesto l'Eucaristia fa problema, fa rimorso, fa proposta. L'importante è che Gesù non si fermi alle nostre chiacchiere ed il suo amore non si arresti sulla durezza del nostro cuore. |