Omelia (18-06-2006) |
padre Antonio Rungi |
Tu ci disseti al calice della gioia La solennità del Corpo e Sangue del Signore che celebriamo oggi ci riporta al senso più vero della gioia cristiana, in quanto nel partecipare alla mensa del Corpo e Sangue del Signore, ogni credente che riconosce nell'Eucaristia la presenza reale di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Redentore dell'umanità, assapora la gioia più grande di essere uniti a Cristo mediante i segni sacramentali. Quei segni che Gesù stesso scelse nell'ultima Cena per essere vicino a noi fino alla fine del mondo, senza lasciarci soli e abbandonati alle nostre intime ed umane solitudini. Gesù nell'Eucaristia è il compagno più certo e fidato della nostra vita, da cui attingiamo non solo il coraggio della speranza e dell'andare avanti nella vita, ma anche sperimentiamo la gioia più intima di un Dio che è vicino all'uomo, specie nel momento del dolore e della prova. Oggi pregheremo con queste parole: Tu ci disseti Signore al calice della gioia. Chiaro riferimento al mistero dell'Eucaristia, a quel calice ove il sacerdote in memoria della Pasqua di Cristo, pone il vino che poi si trasforma in sangue di Cristo, ripetendo la stessa azione di Cristo nell'ultima cena, dopo aver distribuito il pane, che è il suo corpo, ai discepoli presenti all'ultimo banchetto terreno del divino Maestro. Di questo ci rende edotti il testo del Vangelo di Marco che oggi ascoltiamo della Liturgia della Parola del Corpus Domini: "Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: "Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?". Allora mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: "Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d'acqua; seguitelo e là dove entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov'è la mia stanza, perché io vi possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli? Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala con i tappeti, già pronta; là preparate per noi". I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono per la Pasqua. Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: "Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza, versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo del regno di Dio". E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi". Lo stretto legame della Pasqua Cristiana con quella Ebraica è ricordato nella proclamazione del brano della prima lettura di oggi, tratto dal Libro dell'Esodo: "In quei giorni, Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose insieme e disse: "Tutti i comandi che ha dati il Signore, noi li eseguiremo!". Mosè scrisse tutte le parole del Signore, poi si alzò di buon mattino e costruì un altare ai piedi del monte, con dodici stele per le dodici tribù d'Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire olocausti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione, per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l'altra metà sull'altare. Quindi prese il libro dell'alleanza e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: "Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!". Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!". Riflettendo sul mistero della Pasqua del Signore, soprattutto sul dono di Cristo sulla Croce, con il totale versamento del suo sangue in riscatto dell'umanità, il brano della Lettera agli Ebrei che ascolteremo oggi ci spiega il senso e la finalità di questo sangue benedetto di Cristo che Gesù sparge per noi durante la sua Passione e Morte in Croce. Senso e significato che hanno il riferimento iniziale storico-salvifico proprio nella liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell'Egitto: "Fratelli, Cristo, venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano di uomo, cioè non appartenente a questa creazione, entrò una volta per sempre nel santuario, non con sangue di capri e di vitelli, ma con il proprio sangue, dopo averci ottenuto una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca sparsi su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire il Dio vivente? Per questo egli è mediatore di una nuova alleanza, perché, essendo ormai intervenuta la sua morte in redenzione delle colpe commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l'eredità eterna che è stata promessa". Cristo è mediatore della nuova alleanza, che libera l'uomo dalla vera schiavitù interiore che è quella del peccato, rispetto all'antica alleanza che libera il Popolo di Dio da una schiavitù materiale, politica e sociale, intervenendo nella storia di questo popolo con la prima fondamentale rivelazione di un Dio che ama e guida il suo popolo verso la Terra Promessa. Temi e riflessioni che la solennità annuale del Corpus Domini ci riporta alla nostra attenzione per ridare slancio alla nostra fede nel mistero della presenza reale di Cristo nell'Eucaristia, che è mistero di amore e donazione, mistero di gioia e condivisione, mistero di speranza e certezza di un'eternità, che già assaporiamo nella vita presente partecipando a quel banchetto eucaristico, che è la mensa della gioia e della felicità vera che viene da Dio. Mi piace sottolineare nel commento di questa solennità quanto scrive il Santo Padre, Benedetto XVI, nella sua Prima Enciclica, "Deus caritas est": "Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo — amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l'amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare. A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l'istituzione dell'Eucaristia, durante l'Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell'ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell'uomo — ciò di cui egli come uomo vive — fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento — come amore. L'Eucaristia ci attira nell'atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L'immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La «mistica» del Sacramento che si fonda nell'abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell'uomo potrebbe realizzare. Ora però c'è da far attenzione ad un altro aspetto: la «mistica» del Sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane», dice san Paolo (1 Cor 10, 17). L'unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l'unità con tutti i cristiani. Diventiamo «un solo corpo», fusi insieme in un'unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell'Eucaristia: in essa l'agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento Cristologico-sacramentale si può capire correttamente l'insegnamento di Gesù sull'amore. Il passaggio che Egli fa fare dalla Legge e dai Profeti al duplice comandamento dell'amore verso Dio e verso il prossimo, la derivazione di tutta l'esistenza di fede dalla centralità di questo precetto, non è semplice morale che poi possa sussistere autonomamente accanto alla fede in Cristo e alla sua riattualizzazione nel Sacramento: fede, culto ed ethos si compenetrano a vicenda come un'unica realtà che si configura nell'incontro con l'agape di Dio. La consueta contrapposizione di culto ed etica qui semplicemente cade. Nel «culto» stesso, nella comunione eucaristica è contenuto l'essere amati e l'amare a propria volta gli altri. Un' Eucaristia che non si traduca in amore concretamente praticato è in se stessa frammentata. Reciprocamente — come dovremo ancora considerare in modo più dettagliato — il «comandamento» dell'amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l'amore può essere «comandato» perché prima è donato". Parole più adatte per commentare la solennità odierna, anche per la loro attualità, per la loro incisività, per il loro contenuto teologico, biblico, pastorale, ecclesiale, sociale non le ho trovate. Per cui, le sottopongo alla vostra attenzione e meditazione, soprattutto durante la partecipazione alla Santa Messa di questa Solennità, che conserva ancora tutto il suo fascino ed il suo valore nell'esperienza religiosa di molti cristiani cattolici, ed anche durante il percorso della Processione del Corpus Domini, che ancora oggi si svolge nelle nostre comunità parrocchiali o chiese locali. Segno evidente che il culto eucaristico dentro e fuori della messa è il centro della vita e della santità di ogni cristiano, seriamente impegnato a tradurre in stile di vita caritativo quell'amore che riceve dal Signore mediante il sacramento del suo corpo e del suo sangue e mediante la contemplazione del SS. Sacramento dell'Altare nell'adorazione quotidiana o nelle solennità speciali come quella del Corpus Domini che oggi celebriamo. |