Omelia (18-06-2006) |
Comunità Missionaria Villaregia (giovani) |
Vita come eucaristia Alla Parola chiediamo di spiegarci il grande mistero della festa di oggi, solennità del Corpo e Sangue di Cristo. Per cogliere il messaggio che l'evangelista Marco vuole trasmettere, bisogna andare oltre quello che, a prima vista, pare un semplice resoconto stenografico. Il primo dettaglio che va rilevato è che l'iniziativa di celebrare la Pasqua parte dai discepoli: "Dove vuoi che andiamo a preparare perché tu possa mangiare la Pasqua?". Sono essi ad avere il desiderio di celebrare la liberazione dall'Egitto, liberazione da cui ha inizio la loro storia. Non immaginano ciò che accadrà quella stessa sera durante la cena. Il loro desiderio offre lo spazio per essere coinvolti nella nuova Pasqua, in un nuovo dono di sè agli altri. Un secondo particolare: l'incaricato di accompagnare i discepoli nella sala del banchetto è un servo che svolge un servizio riservato alle donne. Non è un banale dettaglio, ma il segno del cambiamento dei rapporti sociali. Nella sala del banchetto entra chi sa vedere le persone in modo diverso, chi si lascia guidare dai segni sorprendenti dati da Cristo: i ricchi che si fanno poveri, i grandi che scelgono di divenire piccoli, gli uomini che si assumono i servizi umili imposti, fino ad allora, alle donne. L'Eucaristia rompe tutte le caste sociali e fa di una massa, un popolo, una comunità dove tutti sono fratelli. Anche l'accurata descrizione della sala è importante: è spaziosa perché è destinata ad accogliere molte persone, è situata in alto, come il monte, dove avvenivano le grandi teofanie, ed è arredata con divani, perché chiunque entra nel banchetto eucaristico, anche se povero, misero o schiavo, acquista la libertà e una nuova dignità di Figlio di Dio. Nella seconda parte del racconto non c'è alcuna allusione alla pasqua giudaica. Gli Apostoli che hanno preparato l'agnello vedono la cena pasquale ebraica trasformarsi nella cena di Gesù, nel banchetto eucaristico: "Mentre mangiavano, egli prese il pane e, pronunciata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro". Fin qui nulla di nuovo rispetto al rito tradizionale. Inconsueto è invece l'invito rivolto ai discepoli: "Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo", cioè "Questo sono Io". Come avranno risuonato queste parole agli Apostoli? Come risuonano dentro di noi? Gesù ha fatto della sua vita un dono, ora vuole che i suoi discepoli condividano la sua scelta, entrino in comunione, divengano una persona sola con lui, così saranno partecipi della sua stessa vita. Accostarsi all'Eucaristia non è un incontro devozionale con Gesù, ma si tratta della decisione di essere, come lui, in ogni momento, pane spezzato a disposizione dei fratelli. Proviamo a verificare, ognuno di noi, come potrebbe tradursi nella vita quotidiana quel "Prendete, mangiate, questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi". Provi a dirlo una madre, all'inizio della sua difficile giornata. Provi a dirlo un padre di famiglia: che senso nuovo acquista, in tale luce, il suo sudore quotidiano. Tutta la vita diventa Eucaristia. Questo è anche il senso profondo delle parole di Gesù: "Fate questo in memoria di me". Fate agli altri la stessa cosa che io ho fatto per voi; fate come ho fatto io; come io mi sono dato per voi, così anche voi datevi, spendetevi gli uni per gli altri. E' una Parola che ascoltiamo, talvolta forse distrattamente, ad ogni Messa; è rivolta a ciascuno dei presenti: una dichiarazione d'amore e di impegno di vita. Al termine della Cena, Gesù beve il calice del vino, è il sangue della nuova alleanza versato per molti, cioè per tutti. L'Eucaristia non è stata istituita per i singoli, per permettere a ognuno di incontrare personalmente Cristo, per favorire il fervore individuale. L'Eucaristia è l'alimento della comunità, è pane spezzato e condiviso fra i fratelli (non meno di due!) perché è la comunità il segno dell'umanità nuova, nata dalla risurrezione di Cristo. La porta della grande sala, che si trova in alto, è sempre spalancata, perché tutti possano entrare. Il banchetto del regno di Dio, annunciato dai profeti, è preparato per tutti i popoli, tutti devono essere accolti, nessuno escluso. Il pane che è Cristo e il calice del suo sangue creano una comunità di "consanguinei" con Cristo e tra loro, così da costituire il popolo nuovo che ha come unica legge il servizio dei fratelli fino a donare in "alimento" la propria vita, per saziare ogni forma di fame dell'uomo. La famiglia di Ester e Pedro è una delle tante famiglie per le quali è normale affrontare le difficoltà quotidiane per la sopravvivenza. Il lavoro, come sempre, scarseggia e in questo periodo non si trova neppure qualche occupazione alternativa. E' una domenica mattina. Varie signore si sono riunite per cucinare e vendere alcuni piatti tipici e dolci. La finalità è raccogliere fondi per il Centro Medico, perché i più poveri possano essere assistiti. Ester è tra loro e sta friggendo gustosi "picarones". Non si capisce bene se sul volto stiano scorrendo lacrime o gocce di sudore. Rosa si accorge che l'espressione di Ester è insolita. Un velo di tristezza copre i suoi occhi. Le si avvicina e, aiutandola a preparare i dolci, approfitta per chiederle come sta. Le lacrime scendono più abbondanti ed Ester apre il suo cuore. "Ieri in casa non avevamo niente da cucinare. La piccola riserva di denaro era finita da tempo e nessuno di noi ha mangiato. Ciò che mi strappava il cuore era il pianto del piccolo José. Tutto il giorno mi si avvicinava chiedendomi un pane: 'Tengo hambre, mamà', (ho fame, mamma) mi diceva tra le lacrime. Mio marito non sopporta tale impotenza. In questi momenti si chiude nel silenzio o esce di casa. Sente la responsabilità di padre e di sposo, dell'uomo che ha il dovere di procurare il cibo per la sua famiglia ma che non può farlo. Si sente un fallito. Le ore passavano senza che nulla cambiasse. E' arrivata la sera, il momento di cenare, ma la dispensa rimaneva vuota. Ho pensato di riunire tutti i miei figli per pregare. José mi tirava nervosamente la manica della camicia, ripetendo: 'Tengo hambre, tengo hambre'. Raúl mi ha abbracciato forte, dicendo: 'Non piangere, mamma, non importa se oggi non possiamo mangiare. Abbiamo cenato ieri. Ci sono, invece nel mondo tanti bambini che non mangiano per giorni e giorni. Noi stiamo bene e possiamo ringraziare Dio perché siamo tutti insieme, uniti e Gesù è con noi'. Il mio piccolo Raúl di 12 anni aveva ragione, la nostra mensa, apparentemente vuota, era in realtà riempita dalla presenza del Signore. Abbiamo pregato per tutti i popoli del mondo ai quali manca il pane quotidiano. Alla fine ci siamo sentiti più tranquilli, sereni. Il Signore era stato il nostro alimento. Questa mattina mi sono alzata con la preoccupazione di cominciare un nuovo giorno senza risorse. Non sapevo come fare per unirmi a tutte le signore nell'attività a favore del Centro Medico. Mentre stavo cercando di prendere una decisione, qualcuno ha bussato alla porta. Con grande sorpresa mi sono trovata davanti una vicina alla quale l'anno scorso avevo fatto un piccolo prestito. La signora mi ha porto un pacchettino avvolto in un pezzo di carta: 'E' il denaro che mi ha prestato, Ester. Scusi se solo adesso sono riuscita a restituirlo. Grazie. Che Dio la benedica'. Sono rimasta senza parole. Il nostro Padre del cielo ha mandato la vicina proprio oggi perché sapeva che avevamo bisogno. Senza pane possiamo sopravvivere, ma senza Dio sarebbe impossibile!" Rosa ascolta commossa l'esperienza di Ester. Ricorda e ripete in cuor suo la frase che il Papa aveva pronunciato durante la sua visita in Perù nel 1985: "Fame di pane, NO. Fame di Dio, SI". Sono passati 18 anni da quel giorno. La fame di Dio è sempre viva, ma la fame di pane non è ancora scomparsa, rimane ancora un impegno di tutti. Se la nostra vita diventa Eucaristia, non possiamo più disinteressarci del fratello, rifiutarlo, sarebbe come rifiutare Cristo stesso, non provvedere alle necessità dei fratelli, equivale a non provvedere alle necessità di Cristo stesso. "Tu adori Cristo nel Capo - scrive Sant'Agostino - e lo bestemmi nelle membra del suo corpo. Egli ama il suo corpo; se tu ti sei separato dal suo corpo, egli, il Capo, no. Dall'alto, egli ti grida: 'Tu mi onori a vuoto'." |