Omelia (25-06-2006) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Commento a Mc 4, 35 41 «Maestro, non t'importa che moriamo?». È l'interrogativo, che, assieme alla risposta di Gesù: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?», costituiscono il tema, della liturgia della Parola, di questa domenica. "Non t'importa che moriamo?" o come più spesso ci chiediamo: "Perché questa malattia, questa morte, questo disastro, operato dalle forze incontrollabili della natura?"; è la domanda che ci siamo posti e ci poniamo ancora, facendo memoria dell'olocausto degli Ebrei o di fronte alle tante violenze di guerre o di regimi totalitari: "Dove era Dio? ". Sappiamo che Dio c'era, era oltre lo scatenarsi della violenza, delle forze della natura e dell'uomo; non era né assente, né indifferente, era vicino all'uomo, anche se, questi, non sempre ha la capacità, o la maturità interiore, per coglierne la presenza. Tuttavia, interrogarsi sul senso del dolore, e aver paura sia della sofferenza come della morte, fa parte della natura umana, anche il Figlio di Dio, all'appressarsi della passione, cadde in una profonda angoscia, ebbe paura e pregò il Padre dicendo: " Abbà, Padre! Tutto è possibile a te. Allontana da me questo calice! " ( Mc.14,36 ); l'angoscia del Cristo è un segno grande per la nostra fede, un segno che ha fatto esclamare a Dietrich Bonhoeffer, in carcere e prossimo all'esecuzione: "La croce di Dio ha voluto essere il dolore di ciascuno; e il dolore di ciascuno è la croce di Dio". La domanda, quella dei discepoli, come la nostra, è però legittima: "L'uomo può rivolgere un tale interrogativo a Dio -recita l'enciclica Salvifici Doloris- con tutta la commozione del suo cuore, e con la mente piena di stupore e di inquietudine; e Dio aspetta la domanda e l'ascolta, come vediamo nella Rivelazione..." (n. 10 ) I testi che la liturgia eucaristica oggi propone, offrono appunto la risposta a questo drammatico interrogativo, che accompagna ogni esistenza umana. La prima lettura, ci fa incontrare Giobbe, l'uomo giusto che, al di là della sua realtà storica, è il simbolo dell'uomo sofferente e paziente, l'uomo fedele e saggio, che, come dalle mani di Dio accoglie il bene, dalle stesse mani prende ciò che fa male, considerandolo strumento di purificazione, e in ciò egli è una prefigurazione di Cristo, il Dio sofferente, che per amore dell'uomo e per la sua redenzione dal peccato accetta di morire sulla croce. Giobbe discute con Dio, all'uomo, infatti, è lecito parlare col suo Creatore; non è arroganza, né superbia; è come quando un bimbo parla col proprio padre, ben sapendo, che di fronte a lui, alla sua sapienza e alla sua esperienza, egli è un piccolo che ha bisogno di esser guidato e illuminato. "Il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine «Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando erompeva uscendo dal seno materno, quando lo circondavo di nubi per veste e per fasce di caligine folta? Poi gli ho fissato un limite, e ho messo chiavistello e porte e ho detto: qui giungerai e non oltre, e qui s'infrangerà l' orgoglio delle tue onde»( Gb. 38, 1. 8 1); con un linguaggio ricco di immagini e di poesia, la Rivelazione ci dice che la Creazione ha la sua vita e le sue leggi, che ha loro dato la sapienza di Dio; essa vive e si trasforma, indipendentemente dall'uomo, che, al suo cospetto, deve porsi con rispetto e stupore, ben sapendo, che le forze della natura, spesso, lo superano e lo travolgono, facendogli scoprire tutta la sua limitatezza e vulnerabilità. La creatura umana, la più alta e bella, perché immagine di Dio, è anche la più fragile, e di questo ne facciamo spesso esperienza. Anche in queste situazioni, tuttavia, Dio è presente, come canta il Salmista: Egli parlò e fece levare un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti. Salivano fino al cielo, scendevano negli abissi; la loro anima languiva nell'affanno. Nell'angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle loro angustie. Ridusse la tempesta alla calma, tacquero i flutti del mare. Si rallegrarono nel vedere la bonaccia ed Egli li condusse al porto sospirato. Ringrazino Il Signore per la sua misericordia e per i suoi prodigi a favore degli uomini ( sl. 106 ) Anche il mar Rosso, si aprì prodigiosamente, per la salvezza degli Ebrei, e anche il lago di Tiberiade tornò calmo, alle parole di Gesù: «Taci, calmati!»; ma, la fede che ci salva, non è fondata su fatti prodigiosi; il miracolo è il sigillo della divinità, e anche Gesù ne compie, ma il rapporto dell'uomo con Dio è altro: è credere e affidarsi a Dio, che è e si è rivelato Amore che salva. "Fratelli, scrive Paolo, l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti, .. egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro...". E' Cristo Figlio di Dio e Redentore, il segno, la rivelazione più alta e più umana dell'amore di Dio per gli uomini, un amore che risplende sulla Croce. La fede in Lui non ci esonera dalla sofferenza, essa resta in tutta la sua drammaticità, ma acquista, in comunione con Lui, un significato nuovo, e un valore infinito, di redenzione. " per poter percepire la vera risposta al «perché» della sofferenza, dobbiamo volgere il nostro sguardo verso la rivelazione dell'amore divino -recita ancora la salvifici Doloris- fonte ultima del senso di tutto ciò che esiste. L'amore è anche la fonte più ricca del senso della sofferenza, che rimane sempre un mistero, siamo consapevoli dell'insufficienza e inadeguatezza delle nostre spiegazioni. Cristo ci fa entrare nel mistero, e ci fa scoprire il «perché» della sofferenza, in quanto siamo capaci di comprendere la sublimità dell'amore divino..." (ib 12 ) "..se uno è in Cristo, continua Paolo, è una creatura nuova: le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove .."; la vita continuerà a scorrere, alternando gioia e sofferenza, tranquillità o paura, ma, in tutto ciò sappiamo e crediamo, che l'amore di Dio ci avvolge, ci sostiene, ci conduce ad un approdo di salvezza e di pace. Sr M. Giuseppina Pisano O.P. Monastero domenicano SS.mo Rosario mrita.pisano@virgilio.it |