Omelia (25-06-2006) |
Paolo Curtaz |
Tempeste Sconcerta, lo so bene. Parlare della Trinità è faticoso, approfondire il tema dell'Eucarestia di più. Viene voglia di sforbiciare, di alleggerire, di cambiare questa Parola così urticante, così faticosa da accogliere: Dio è comunione ma è uno solo, il pane è pane ma diventa Cristo... uff, che fatica! D'altronde, siamo onesti, è lo sport preferito di questi ultimi duecento anni: quello di ritagliarci un Gesù accomodante che, guarda un po', finisce col pensare esattamente ciò che penso io. Il Gesù della Chiesa no, dai non scherziamo, troppo complesso, troppo artificioso, meglio un Gesù tenuto segreto dai brutti ceffi del Vaticano che devono preservare il potere (Come, scusate, è la trama del "Codice da Vinci? Ops!). Sono un prete di montagna, cerco di stare con i piedi ben piantati in terra, se vado in montagna non mi invento nuovi percorsi, se devo portare qualcuno in alto guardo prima la cartina. Nella fede faccio come Marco ci dice nel Vangelo di oggi: prendo Gesù sulla barca così com'è. Pazienza se è un po' scomodo, questo Dio, pazienza se non sempre mi dice delle cose gradevoli. Preferisco un Dio urticante e onesto ad uno carezzevole e falso. Tempeste Ci sono momenti nella vita in cui abbiamo l'impressione di affondare, travolti dal dolore o dai nostri sbagli. Pensavamo di averle viste tutte e invece no, ecco un dolore più forte, una prova insostenibile, malgrado tutti i nostri sforzi, magari sinceri. E ci viene voglia di morire, di non esserci, di non essere mai esistiti. Succede così anche agli apostoli: al discepolo il dolore non viene evitato. Anzi: anche la fede viene travolta dalle acque. Dio c'è sì, ci credo, ma ora non so proprio dove sia, non so proprio cosa faccia. Egli è presente, ma, ora, la sua presenza è flebile, a volte addirittura ho l'impressione che non gli importi nulla del mio dolore. Alcuni giungono a pensare che sia Dio a inviare il dolore, come una prova che ci purifica. (Ci purifica da cosa, scusate? Le persone escono dalle prove della vita quasi sempre peggiorate!) Perché succede? Non lo so, né lo sanno Pietro e Marco, che scrivono il racconto. Non risposte Non ho mai trovato gran risposte al dolore nella Bibbia. Tracce, bagliori, intuizioni. Ma vere risposte proprio no, non le ho mai trovate. Quando Giobbe, alla fine della lunga lamentazione di cui è protagonista, chiede ragione a Dio della sua situazione disastrosa, Dio appare e non risponde, ricorda al povero Giobbe l'immensa distanza che separa l'Assoluto di Dio dai nostri goffi tentativi di comprensione. Dio, però, non sta sulle nuvole e guarda distrattamente il nostro destino. Egli è il presente, egli condivide con gli apostoli la traversata. Dorme, certo, ma gli importa del dolore e della paura dei suoi figli. Al punto che assieme a noi corre dei rischi, è con noi sulla barca anche se si affida all'imperizia di questi marinai di acqua dolce che siamo noi... Dorme, ma sta sulla barca per condividere fino in fondo il nostro destino. Dorme, e non interviene perché vuole lasciare alla nostra dignità, alle nostre capacità, il compito di arrangiarsi nelle difficoltà della vita. Perché spesse volte chiediamo aiuto a Dio in situazioni in cui potremmo forse intervenire noi? Perché non ci fidiamo di questo Dio che conosce le nostre sofferenze e sa placare la tempesta? Dio ci rende capaci di attraversare il mare in tempesta. Egli è con noi, anche quando non interviene. E la fede? "Non avete ancora fede?". No Signore, non quanta ci servirebbe per attraversare il mare in tempesta. Spesso la nostra minuscola fede è legata ad un patto assicurativo: se va tutto bene Dio esiste, ma se le cose si storcono, ecco che Dio mi appare come un sadico onnipotente che non si cura di me. Se la mia vita funziona Dio è buono, se la mia vita è tribolata Dio è malvagio. Gesù è venuto a portarci un'altra notizia, un volto diverso di Dio: il volto di un Dio che condivide, di un Dio che sa, di un Dio che soffre, che conosce la tempesta, ma non ne ha paura. Fidiamoci, amici, anche se la barca fa acqua. Guardiamo solo di aver preso sulla barca Gesù così com'è, senza volerlo cambiare come piacerebbe a noi. Marinai inesperti Molte volte l'immagine della barca è stata usata per descrivere la comunità cristiana che deve attraversare i marosi della storia. E quanta acqua ha imbarcato la Chiesa! Difficoltà interne causate dalla povertà interiore e dalla nostra mancanza di fede; difficoltà esterne da chi non digerisce la Chiesa e la vuole affondare o, meglio, vuole affondare l'immagine deforme di Chiesa che ha nella sua testa... Eppure, malgrado noi cristiani, il sogno di Dio che è la Chiesa dimora, esiste, raduna uomini e donne di culture diverse nell'unica speranza, nell'unico Signore. Lo Spirito assiste chi si affida a lui, e guida la sua Chiesa. A noi la scelta: possiamo restare a riva e commentare sarcastici vedendo i pescatori faticare, o salire sulla barca e attraversare il mare. Io ho scelto: sono salito sulla barca che è la Chiesa. Anche se a volte paia che dorma, Gesù naviga con noi. |