Omelia (25-06-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Tempo di paura? Facile incontrarsi oggi con tanti che "hanno paura della vita". "Un tempo - mi spiegava una persona - la vita era più semplice. Una semplicità che forse potremmo chiamare oggi, alla luce del cosiddetto benessere, del progresso e di quello che vuole, povertà. Si era felice del poco e si aveva una grande fiducia nella Provvidenza. Anche le prove della vita, che ci sono sempre per tutti, come le malattie o altro, si accoglievano con quella fede che faceva sentire Dio vicino...anche se non si capivano i Suoi disegni, ma avevamo la certezza che erano amore, solo amore. Oggi, dopo avere creduto di avere tutto con il benessere, abbiamo perso la gioia di sentire Dio vicino, che sa vegliare sulla nostra esistenza. E allora tutto ci fa paura". Mi sono chiesto allora anch'io se il progresso economico, tecnico e quello che volete, ci ha fatto crescere come "figli di Dio" che non temono nulla, e se queste conquiste davvero possono dare quella serenità e fiducia che ci dava l'abbandono nel Cuore di Dio, dove solo si sta bene, tanto bene, nonostante tutto. Stando un momento in una comunità definita "tenda di Dio", nel Cremonese, che ospita i malati di AIDS in fase terminale ed ero loro ospite, mi sarei aspettato disperazione o altro. Avvolti da una squisita carità di Padri e volontari, che sembravano davvero la carezza del Padre, in quella struttura semplice, che potrebbe avere nome "povertà dignitosa che vive di servizio e carità", respirai un'incredibile serenità proprio di chi si sentiva al sicuro sulla barca della vita. E come quella "Tenda" il mondo è davvero pieno di "barche" che sanno affrontare la burrasca...solo perché hanno la certezza che non sono soli, ma con loro, in mezzo a loro, c'è Cristo. Non voglio assolutamente negare che ci sono per tutti momenti di buio nella vita, di prove che mettono in discussione che Dio sia con noi. E non riusciamo a spiegarci il suo silenzio. Ricordiamo tutti quello che del resto disse il Santo Padre, Benedetto XVI, visitando i campi di sterminio in Germania, ad Auswihtz. Facendosi totalmente coinvolgere dall'orrore, con le lacrime agli occhi, non seppe che chiedere a Dio: "Dio, perché hai taciuto?". Una domanda che si trova spesso sulla bocca di tanti di fronte al dolore. Gesù stesso, nell'agonia del Getsemani, "vivendo" il grande dolore della sua passione e morte in croce, sudando sangue, rivolgeva al Padre una preghiera che ha tutta l'aria di chi si sente abbandonato: "Padre, se è possibile, allontana da me questo calice...Ma si compia la tua volontà". Sapendo che quell'immenso dolore della passione era il necessario prezzo dell'amore per liberarci dalla disperazione, accettò la volontà del Padre. Ma sulla croce, anche Lui, come noi, a volte, ebbe a dire con le parole del salmista: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Che Dio ci sembri indifferente e lontano nei momenti delle nostre inevitabili prove, lo racconta bene il Vangelo di oggi. "In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: "passiamo all'altra riva". E lasciata la folla, lo presero con sé, così come era, nella barca. C'erano altre barche con Lui. Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che oramai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: "Maestro, non ti importa che noi moriamo?" Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: " Taci, Calmati!" Il vento cessò e ci fu gran bonaccia. Poi disse loro: "Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?" E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?" (Mc 4,35-40). Gesù lascia alle spalle la folla, che Lo aveva ascoltato per tanto tempo, quasi troncando il filo del discorso, e decide di andare oltre il lago, tra gente cui non era arrivata ancora la Sua Parola. Ed era la missione che più gli stava a cuore. Sapeva che andare tra la gente che aveva, come sempre, un atteggiamento a volte di entusiasmo, a volte scettico, a volte di indifferenza, come se la Buona Novella fosse un passatempo o una curiosità, esigeva da Lui tanto coraggio e anche la possibilità di incontrare ostacoli. Era proprio, l'andare tra gli uomini a parlare del Regno del Padre, una non facile missione...proprio come oggi. E sulla barca che lo portava all'altra riva, forse più che riposare pensava a questo suo viaggio non facile di Dio tra di noi. Ma tutto questo non Lo turbava: anzi mostrava un incredibile distacco fino a sembrare disinteresse. Non lo "sveglia" neppure la grande bonaccia che, secondo la paura dei discepoli, poteva mettere a rischio la stessa barca, fino ad affondare e quindi porre fine alla missione. Non sapendo che la barca con Gesù non affonda mai, anche nelle più grandi tempeste! E questo per ogni nostra vita a volte simile ad un viaggio "in barca" che, finché "a poppa sul cuscino apparentemente in riposo, vi è Gesù", non affonda mai. Affondano le tante "barche" su cui non viaggia, o meglio preferiamo non sapere che Lui è lì, sempre vigile. Viene in mente "la barca di Pietro che è la Chiesa". Quante tempeste ha attraversato e attraversa nella storia: con uomini che tentano in tutti i modi di farla affondare, credendo così di "liberarsi di Dio" e non sapendo che senza di Lui sicuramente la barca affonda. Quante persecuzioni ha subito e subisce la Chiesa su tutti i fronti e, "anche se la barca, come affermava il S. Padre nella Via Crucis, fa acqua da ogni parte" continua il suo viaggio verso l'eternità. "Tu sei Pietro, disse un giorno Gesù, e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa". Forse oggi, per la nostra poca fede, ci lasciamo prendere dalla paura. E sono tante le voci, troppe, che si alzano per dire con gli apostoli: "Maestro, non ti importa che moriamo?" Gesù non solo non dorme, ma assicura che nessuna tempesta può mandare a fondo la sua Chiesa. Qui è la tranquillità di tanti che davvero sanno che Gesù domina la storia, calma le tempeste, anche se il mondo, come oggi, è davvero un mare in grande tempesta. Basta dare uno sguardo a quello che si viene a sapere: un mondo che a volte sembra impazzito o quasi compiaciuto di distruggersi, come è per esempio la continua minaccia al nostro pianeta con la desertificazione, per la sola ragione di fare soldi nel togliere alla terra ciò che è polmone del mondo, come avviene nella Amazzonia, o nel non fare un passo indietro in tutto ciò che crea l'effetto serra. Si ha quasi l'impressione di vivere quello che avvenne nella tragedia del Titanic, che, mentre la meravigliosa nave affondava, la gente ballava, incurante della tragedia che stava per compiersi. Davvero noi uomini siamo pazzi: siamo la burrasca che vuole mandare a fondo tutto...salvo poi dire "Ma Dio, dov'era? o dov'è?". I veri credenti sanno che Gesù con noi è la nostra serenità, anche se a volte ci viene sulle labbra il lamento: "Maestro non ti importa che noi moriamo?" Come discepolo di Antonio Rosmini, la cui causa di beatificazione è in corso, piace donare l'esempio di questo grande della santità, della filosofia, della dottrina e della teologia. Lui solo sa come facesse a scrivere tanto. Quando Gregorio XVI, che conosceva molto bene Rosmini, approvò l'Istituto della Carità, da Rosmini fondato, di sua mano scrisse: "Rosmini è persona fornita di elevato e eminente ingegno, adorna di egregie qualità d'animo, sommamente illustre per la scienza delle cose divine ed umane, chiaro per la sua esimia pietà, religione, virtù, probità, prudenza e integrità e splendente di meraviglioso amore e attaccamento alla religione cattolica e alla Santa Sede". Insomma un grande della scienza, santità e carità. Dopo Gregorio XVI, divenne amico intimo di Papa Pio IX che, per onorare questa sua grandezza di scrittore e santità, volle con insistenza fosse elevato all'ordine cardinalizio. Ma tutto si interruppe con le vicende storiche del 1848. Il Papa Pio IX, ora santo, fu esiliato a Gaeta e Rosmini a Caserta. E inizia la guerra contro le sue dottrine, fino al punto di sentirsi rifiutato e sospettato di eresia, tanto che furono messe all'indice, con le famose 5 piaghe della Chiesa, anche altre proposizioni. Di fronte all'ordine del S. Padre, che imponeva il silenzio a tutti, obbedì e si ritirò, subendo insinuazioni e calunnie, senza opporre resistenza. La sua regola era "Adorare, tacere, godere". Ed era circondato da tanti che non solo lo stimavano, ma lo avevano come padre spirituale, a cominciare da Alessandro Manzoni. Ma come viveva lui questa burrasca, che non si riesce a capire neppure oggi. Lui vedeva in tutto questo un disegno della Provvidenza, ossia confidava in Gesù che forse vedeva riposare a poppa su un cuscino, a dare sicurezza. Ad un sacerdote scriveva il suo stato d'animo, non facile da capire e vivere per noi oggi: "Io, meditando la Provvidenza, l'ammiro: ammirandola la ringrazio; l'amo amandola; la celebro celebrandola; la ringrazio ringraziandola; mi empio di letizia. E come farei altrimenti se so per ragioni di fede, e lo sento con l'intimo spirito, che tutto ciò che si fa', o voluto o permesso da Dio, è fatto da un eterno, da un infinito, da un essenziale Amore?". Così sono i santi sempre, di fronte alle tempeste. Così è bello essere anche noi. |