Omelia (30-06-2006) |
don Luciano Sanvito |
Insegna ciò che ti ho insegnato Dal fatto al segno: ecco il passaggio richiesto dall'episodio in questione; e il richiamo a porre anche per noi, nei nostri fatti già fatti e finiti, la resuscitazione ad opera del segno. Un fatto in sè, fatto, si conclude, pur bella opera che sia: fatto e finito. Un fatto insignito del segno, diventa una occasione di insegnamento, di lasciare e porre un segno appunto; e chi lo vive in sè, questo segno, non può essere additato se non come un "insegnante". Ecco allora un lebbroso, insignito di un segno, chiamato a fare l'insegnante per noi oggi: insegnare a noi a guardare non al fatto in sè: la salute del corpo, la sistemazione salutare fisica e morale, ma a guardare oltre il fatto, scrutando solo in parte quello che il segno indica, additando la strada della ricerca, che sarà sempre aperta al mistero del sapere, che dal punto di vista umano e spirituale, sempre più si amplifica, e mai si riduce, assumento le caratteristiche di un sapere universale, al quale insegnato e insegnante attingono solo in goccia e in briciola, gustando e imparando solo qualcosa, non certo esaurendolo. Uno che ha compiuto un fatto è lì da vedere e basta; ma chi compie un segno si trasforma da insegnato a insegnante; e infine, in testimone di esso: quasi un suggello, un attestato ufficiale, che solo in un modo e in un luogo ufficiale diventa significativo. Da insegnato, a insegnante, a testimone: ecco i nostri passaggi vitali. Altrimenti, resteremo lebbrosi: magari senza la lebbra fisica, ma insegnanti di quella morale; magari non sappiamo dov'è, ma la testimoniamo come malattia invisibile. Ecco perché è di vitale importanza insegnare ciò che ci è stato insegnato. |