Omelia (08-07-2006)
don Luciano Sanvito
"Chi lo ha già, non lo fa; chi lo fa, non ce l'ha"

Già: potremmo riprendere così il rapporto che ci viene proposto tra lo sposo e il digiuno.
Chi ha già lo sposo, non fa il digiuno; chi fa il digiuno, non ha lo sposo.

Ma sposo e digiuno qui sono anche due emblemi: il digiuno rappresenta il modo mesto e triste della vita, la mancanza della gioia e della vita; lo sposo invece il rinnovamento vitale, la gioia e il cibo della libertà sponsale.

Leggendo il brano, ci troviamo di fronte a un bivio: scegliere di rimanere uniti e stretti al vecchio digiuno, tentando di rianimarlo con un po' di vino nuovo, ma col pericolo che gli otri si spacchino e tutto vada perduto; o cercando di porre delle nuove pezze tappabuchi sul vestito della vita, col rischio però che si strappi tutto il vestito. Oppure scegliere di seguire lo sposo nel suo modo di essere e di fare, unendoci a lui come invitati al banchetto delle nozze.

Ma il brano racchiude in sè anche un duplice movimento: quello della morte, con un digiuno che implica che lo sposo non c'è, dove il digiuno in sè e per sè accellera il movimento mortale di tutto; quello della vita, con lo sposo che sospende il relativo tempo del digiuno e della morte, accellerando tutto verso il movimento vitale.

Chi ha già questo movimento vitale, il digiuno di certo non lo fa; chi il digiuno ancora lo fa', questo movimento vitale certo ancora non ce l'ha.