Omelia (09-07-2006)
don Remigio Menegatti
I nostri occhi sono rivolti al Signore (255)

Per comprendere la Parola di Dio alcune sottolineature
La prima lettura (Ez 2, 2-5) racconta la vocazione profetica di Ezechiele. Lo Spirito di Dio entra in lui e gli rivela che il Signore lo manda in mezzo agli Israeliti, popolo ribelle e ostinato, "figli testardi e dal cuore indurito". Una missione che può sembrare inutile, viste le premesse quali la chiusura del popolo eletto. Una missione comunque importante per ricordare che se loro si sono dimenticati di Dio, lui non si dimentica del popolo che ha eletto tra tutti e scelto per essere annunciatore dell'Alleanza disponibile per tutti.
Il vangelo (Mc 6, 1-6) presenta la reazione dei compaesani di Gesù: nonostante i gesti con cui a Cafarnao e in altre città viene accolto come Messia, proprio nel suo paese trova ostilità e non gli viene data fiducia. È il profeta, e come tutti i profeti è difficile accettarlo, accoglierlo come voce di Dio, soprattutto quando chiede conversione e richiama il popolo alla fedeltà all'Alleanza.

Salmo 122
A te levo i miei occhi,
a te che abiti nei cieli.
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni.

Come gli occhi della schiava,
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi sono rivolti
al Signore nostro Dio,
finché abbia pietà di noi.

Pietà di noi, Signore, pietà di noi,
già troppo ci hanno colmato di scherni,
noi siamo troppo sazi
degli scherni dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.

Il salmo sembra quasi diviso in due parti: la confidenza e il legame che si riconosce con il Signore, e la sofferenza che provoca stare dalla sua parte quando chi dovrebbe riconoscere i "servi del Signore" invece li osteggia.
Manifesta il senso di fatica che prova chi si è donato a Dio e si sente felice dell'amore e della protezione che sperimenta in Dio, ma deve fare i conti con quanti lo osteggiano.
Il motivo profondo di questo rifiuto è che quanti si mettono dalla parte di Dio spesso risultano pesanti per loro simili in quanto pretendono di sottolineare le esigenze dell'Alleanza, di richiamare e talvolta rimproverare le scelte che invece allontanano da questo grande dono.
Dio si prende cura dei suoi eletti, ascolta la loro voce e non fa mancare la sua protezione perché non vengano meno alla loro missione. Un compito necessario anche se esigente, e talvolta causa di amarezza. Il Signore è la vera ricompensa dei suoi servi.

Un commento per ragazzi
Le nostre mani parlano in continuazione. Per i sordomuti sono uno degli strumenti indispensabili per dialogare. Ma anche per chi usa le parole provviste di suoni, le mani servono per lo meno a sottolineare il senso delle idee espresse.
Ritorniamo allora indietro un paio di domeniche per rivedere – con la fantasia, perché il racconto essenziale di Marco non ne fa accenno – i gesti dei protagonisti del racconto della tempesta sedata e della risurrezione della figlia di Giairo.
Immaginiamo i discepoli disperati che agitano le loro braccia, si mettono le mani nei capelli quando vedono che la tempesta sta per affondare la barca. Mani che si protendono anche verso Gesù, nel tentativo di svegliarlo. E poi le mani di Gesù, che con gesto deciso e severo si protendono verso le onde per bloccarle... e infine le calmano. E ancora le mani degli apostoli, che si levano al cielo per esprimere l'esultanza e la preghiera, e quindi in un abbraccio per condividere la gioia dello scampato pericolo.
E sono le mani, anche qui agitate e nervose, di Giairo che chiede la guarigione della figlia. Le mani immobili di lei, raccolte in un gesto rigido della morte. Marco racconta il gesto della mano di Gesù e quindi possiamo far a meno della fantasia: la mano di Gesù prende quella della bambina e le ridona vita. Possiamo immaginare infine i gesti di gioia di Giairo e delle persone presenti.
Nella sinagoga di Nazaret invece le mani di Gesù prendono il rotolo e lo dispiegano davanti alla gente, e accompagnano la lettura, riga per riga. Poi Gesù, riavvolto il rotolo, ha spiegato la Parola, magari accompagnandosi con dei gesti per sottolineare l'intensità del suo discorso.
A questo punto si saranno alzate tante mani, con il dito puntato, per indicare lui, ma non con la meraviglia e lo stupore dei discepoli sulla barca, e neppure con la gioia di chi riconosce in lui il liberatore promesso e atteso. Un dito puntato per dire: "Sappiamo tutto di te, non siamo disposti ad ascoltarti!"; un dito che si leva a giudicare e condannare, con la pretesa di chiudere la bocca e allontanare quell'uomo che si propone come profeta di Dio, colui che il Signore invia per manifestare l'attenzione e la tenerezza verso il suo popolo.
Mani che di fronte al dono si chiudono e non lo vogliono ricevere la grazia di Dio; mani che allontanano e chiudono il passaggio alla salvezza. Mani divenute secche.

E come sempre questo riguardo è rivolto a noi, che non vogliamo, e nemmeno lo possiamo, rimanere solo spettatori di fatti accaduti ad altri. Spettatori, con la tentazione di diventare giudici.
Anche le nostre mani possono aprirsi con umiltà ad accogliere il dono, o levarsi orgogliose a giudicare e condannare chi intende offrirti la salvezza.
Possiamo diventare sempre più amici di Gesù, anche crescendo, oppure dire "io queste cose le ho già sentite altre volte, non mi interessano". Possiamo vivere la domenica come pasqua settimanale, ascoltando la Parola e nutrendoci del Pane della vita, oppure dire "uffa', che lagna! I miei amici non ci vanno..." e restare a casa.
Possiamo decidere, e così guadagnare o perdere. Dipende solo da noi!

Un suggerimento per la preghiera
O Padre, ricco di bontà, forse anche noi assomigliamo ai concittadini di Gesù e fatichiamo a riconoscerlo. "Togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell'umiliazione del tuo Figlio" che hai mandato come liberatore potente e come profeta chiamato a portare il tuo popolo sulla strada della salvezza.