Omelia (30-07-2006) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Poveri con i poveri per il Pane di vita Quello della fame materiale è il più assillante e sconvolgente fra tutti i problemi e la sua soluzione diventa sempre più urgente a doversi rinvenire. Milioni di persone fra uomini, donne e bambini in vari paesi sottosviluppati muoiono tutti i giorni letteralmente abbandonati a se stessi, riversi per terra e debilitati a causa della mancanza degli alimenti di primaria necessità; mentre negli opulenti continenti dell'America del Nord e dell'Europa il superfluo viene confuso con l'indispensabile e ci si permette lo sperpero del denaro e dei beni di consumo anche nelle continue pretese e nei vizi dei più piccoli, avviene che in parecchi luoghi dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina molte persone sopravvivono scheletrite ed emaciate nel fisico, conducendo un tenore di vita raccapricciante per poi morire da soli e dimenticati da tutti, sommersi molte volte dalle mosche che non si sono potute scacciare essendo venute meno le forze appunto a causa della fame. Ma non dobbiamo credere che la miseria sussista solamente al di fuori dell'Europa: premesso che in Italia le famiglie monoreddito vengono ormai designate povere, per quanto possa sembrare strano vi sono moltissimi nuclei familiari i cui membri sono costretti alla fame e agli stenti e non di rado manca perfino l'elemento indispensabile alla sopravvivenza, cioè il pane. Tantissime persone, fra il ribrezzo e l'indifferenza dei passanti che al massimo danno loro uno sguardo veloce di mera compassione o di assurda curiosità, muoiono assiderate dormendo sulle panchine dei giardini pubblici o negli alloggi di fortuna ricavati nei crocicchi delle strade, sotto i ponti, nei giardini pubblici o nei parchi, con la sola protezione di un pezzo di cartone che li avvolge; ma molte volte a condurli alla morte solitaria e reietta è anche la letterale mancanza di cibo. Quello che poi è ancora più sconcertante è che nel nostro paese particolari situazioni di miseria e di precarietà alimentare nelle famiglie, molto spesso passano inosservate per il semplice fatto che moltissimi, fra i poveri e gli indigenti reali, si astengono dal chiedere aiuto o dal domandare l'elemosina per motivi di vergogna o di umiltà (al contrario di molti sfaccendati incontentabili). Se il pane è sempre stato l'alimento base atto a sfamare tutti i popoli, avviene che anche dalle nostre parti non tutti ne dispongono. Ma perché sussiste ancora questo pauroso dislivello fra ricchezza e miseria nei vari continenti del mondo? Perché questa spettrale ingiustizia che riduce tanta gente alla miseria e alla fame sotto gli occhi dei benestanti e degli alto borghesi a cui tutto quanto è garantito? Certo, l'esistenza della miseria e della fame è un mistero che non collima con la concezione risaputa di un Dio buono, giusto e provvidente che non fa' mancare mai il necessario ai suoi figli, eppure in tutte le esperienze di miseria si devono per forza rilevare due elementi pedagogici: innanzitutto, per quanto noi possiamo illuderci delle nostre certezze materiali e barricarci nei sistemi di perbenismo e di presunta ricchezza, in realtà ogni bene proviene soltanto da Dio ed è a lui che si deve il benestare economico e la sazietà, laddove queste sussistano: che esistano i poveri accanto ai ricchi è un appello alla presa di coscienza da parte di ciascuno di noi perché si riconosca che nulla ci è dovuto e che anche noi non apparteniamo a noi stessi, così come rimprovera Paolo ai Corinzi: "Che cos'hai tu che non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto"' E in tal senso possiamo anche interpretare il brano di oggi, alla luce di altri episodi biblici che riguardano la provvidenza divina nei confronti di uomini e popoli quali il prodigio di Elia alla Prima Lettura: la moltiplicazione dei pani sottolinea che solo Dio è artefice del nostro benessere materiale, e solo da lui dipendono i beni di consumo di cui tutt'oggi noi disponiamo. E vi è anche un'altra esortazione di fondo: nel prodigarsi a favore dei 5000 uomini donne e bambini che pendono dalle sue labbra, Gesù si rende solidale con l'umanità bisognosa di cibo materiale e ricompensa anche la disposizione di quanti sono disposti ad ascoltarlo, a riconoscere la Sua supremazia e a dipendere in tutti i casi da lui. Tali sono i poveri e gli affamasti, che a motivo della loro indigenza possono maggiormente disporsi all'apertura del cuore e confidare in Dio e da questi essere assistiti; nella Scrittura i poveri di Yavèh, (anawim) sono i privilegiati da Dio appunto perché si affidano esclusivamente alla sua provvidenza e alla sua Parola quanto al sostentamento materiale e per questo godono della Sua protezione; ciò si evince maggiormente in Cristo, che si mostra dalla parte dei poveri nello spezzare il pane a beneficio di coloro che lo stanno ascoltando e addirittura –cosa molto più importante – diventa EGLI STESSO il pane di vita per quanti lo seguono poiché la moltiplicazione dei pani sottende anche all'essere di Cristo stesso il pane vivo disceso dal cielo, pane di forza e di sostentamento spirituale che alimenta la vita dell'uomo in tutti gli ambiti e in ogni momento. Ne deriva allora che per essere docili alla sequela di Cristo occorre essere poveri. Ciò non consiste dover precipitare necessariamente anche a noi nelle situazioni estreme di precarietà materiale e di fame fisica che corroborano l'assetto della vita e della dignità dell'uomo, ma nel riconoscere la suddetta priorità di Dio sull'ordine delle cose materiali e nell'esaltare la sua continua provvidenza; quindi nel rifuggire qualsiasi sfarzo banale e ogni assurdità nei vizi quanto alle cose materiali, coscienti che lo sperpero e il dispendio esagerato come pure il lusso sfrenato e il superfluo delle cose offendono la dignità di chi non possiede nulla per vivere; e finalmente nel disporci a condividere con chi soffre tutto quello di cui disponiamo: l'essere poveri vuol dire soprattutto questo, donare del nostro a quanti mancano dei elementi prima necessità, condividendo quello che abbiamo con quanti vivono estreme situazioni di miseria e anche in questo risiede la ragione dell'esistenza della povertà nel mondo, la cui domanda ci eravamo posti in apertura: la miseria esiste perché attraverso di noi Dio possa combatterla. Questo può condurci a vivere in pienezza la comunione con il Signore e a riconoscerlo con più convinzione e speditezza quale Egli è veramente: il pane vivo disceso dal cielo alimento vitale per l'umanità |