Omelia (09-07-2006)
Comunità Missionaria Villaregia (giovani)
La paura della novità

Al centro della Parola di Dio di questa domenica sta quel detto di Gesù tanto noto: "Nessun profeta è accolto in patria sua". Una parola, questa, che è superattestata nei Vangeli; con poche varianti, è riportata da tutti e quattro gli evangelisti (cf. Mt. 13, 57; Lc. 4, 24; Gv. 4, 44).
Al tempo di Gesù, questa parola circolava già come proverbio; Gesù la fece propria per esprimere la sorte toccata a lui nella sua patria. Dietro quella parola, c'è un avvenimento ben preciso della vita di Gesù: il ritorno a Nazareth, avvenuto dopo che aveva iniziato il suo ministero pubblico, quindi non più come il semplice carpentiere di qualche mese prima, con il quale erano abituati a parlare di tavoli, di gioghi e di aratri da fare o da riparare, ma come un maestro che parla con autorità e chiama alla fede.
La scena si svolge nella sinagoga, cioè nel centro locale del culto e della preghiera, nel quale ci si riuniva per leggere la Bibbia e ascoltare le spiegazioni dei rabbini; avviene, per così dire, nella chiesa parrocchiale di Nazareth. Uniformandosi alla prassi religiosa del suo popolo, Gesù va alla sinagoga e, letto un brano della Bibbia (cf. Lc. 4, l7ss.), comincia a insegnare.
Possiamo immaginare l'aspettativa e la curiosità dei nazaretani. Essi si aspettavano che, come gli altri rabbini del tempo, Gesù desse prova di abilità con sottili distinzioni esegetiche e applicazioni giuridiche del testo. Invece si sentono come investiti da un ciclone dalle parole di Gesù: "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo!" (A giudicare dal contesto - cf. Mc. 1, 15 - questo fu il succo della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazareth). Il risultato fu un fallimento totale ed è commovente e incoraggiante che sia lo stesso Vangelo a parlarci di questo insuccesso di Gesù. Tutto quello che egli poté fare fu di imporre le mani, uscendo, ad alcuni malati, che forse si trovavano nei dintorni della sinagoga per chiedere l'elemosina, e guarirli. Stando al racconto di Luca, la vicenda si concluse in modo drammatico; tra urla e minacce, Gesù fu spinto fuori dalla sinagoga e cacciato dalla città (cf. Lc. 4, 28ss.).
Dinanzi a questo esito, la domanda che sorge più naturale è: perché i "suoi" non l'hanno accolto? E, più in generale, perché un profeta non è accolto nella sua patria?
Cerchiamo di capire anche i nazaretani: di che cosa allora avevano paura e che cosa rifiutavano? Rifiutavano la novità! Gesù si era presentato come un profeta. Il profeta è un uomo scomodo, talvolta. Egli è una sfida che Dio lancia al popolo. Il profeta è Dio che impone il suo stile e il suo "passo" all'uomo, costringendolo a "rompere" il proprio passo; il profeta perciò è la novità di Dio, è l'imprevisto, il cambiamento. La parola che dovette disturbare più d'ogni altra i nazaretani fu: Convertitevi!, cioè cambiate mentalità e cambiate vita.
Ma gli uomini non amano la novità; o meglio, amano la novità, ma "intorno" a loro, non "in" loro. Allora, pur di non doversi rimettere in questione e cambiare, cosa fanno? Si appellano al passato, al senso di tranquillità e di sicurezza che danno le cose che si sono fatte sempre:
Chi è costui che vuole rivoluzionare le cose? Che bisogno c'è di cambiare? Si è fatto sempre così! Poco importa se, facendo sempre cosi, si era scontenti, infelici e schiavi; ci si abitua anche a essere infelici e ci si affeziona anche alla schiavitù.
Gesù torna a Nazareth, ma non vi torna da solo, è accompagnato da un gruppo di discepoli. La sua non è una visita di cortesia alla madre, ai fratelli, alle sorelle, agli amici, ma un gesto dal significato inequivocabile per chi, fin qui, ha accompagnato le sue scelte di vita. Torna a Nazareth per presentare, all'antica famiglia, la sua nuova famiglia, composta da coloro che hanno risposto alla sua chiamata, che hanno lasciato le reti, il padre sulla barca con i garzoni, il banco delle imposte e lo hanno seguito.
L'incomprensione nei suoi confronti non si manifesta immediatamente al suo arrivo. Egli trascorre alcuni giorni in famiglia e poi giunto il sabato, egli incomincia a insegnare nella sinagoga. Questo fatto è significativo. Finché egli rimane tranquillo nella casa in cui è cresciuto, cioè finché rimane dentro gli schemi tradizionali del suo popolo, finché mostra di apprezzare le convinzioni religiose trasmesse dai rabbini, nessuno ha da ridire sul suo conto. I problemi sorgono non appena egli esce di casa e rende pubblica la scelta di costituire una nuova casa, una nuova famiglia. E per gli abitanti di Nazareth Gesù rappresenta un enigma insolubile: è cresciuto, come loro, in una famiglia dai solidi principi religiosi e ora sembra che non si trovi più a suo agio in questa casa, vuole cambiare antiche abitudini, vuole aprire questa casa a tutti: sanno che a Cafarnao è stato abbattuto il tetto di una casa per introdurvi un paralitico; ha invitato i peccatori in casa e ha voluto che partecipassero con lui al banchetto; ha accarezzato i lebrosi e li ha resi idonei ad appartenere a questa nuova famiglia... La casa d'israele è stata dunque spalancata a tutti. E questo è troppo! Con il suo messaggio, con i suoi gesti Gesù rompe gli antichi equilibri, demolisce la "casa" in cui essi hanno riposto tutte le loro speranze. Si sentono interpellati, colgono, nelle sue parole e nelle sue scelte, l'invito ad abbandonare le sicurezze offerte dalla religione dei loro padri, ad abbracciare i rischi del regno e entrare nella sua casa, nella sua famiglia, dove c'è posto per tutti: i piccoli, i più poveri, le donne, i bambini...
Che garanzie può offrire il "figlio del carpentiere, il figlio di Maria che per trent'anni non ha fatto altro che aggiustare porte e finestre, costruire zappe ed aratri? Chi gli conferisce la forza di compiere prodigi?
I nazaretani trovarono pretesto per quella loro incredulità nel fatto che a predicare la conversione fosse uno di loro, che era figlio del tale e fratello del tal'altro, uno che avevano visto mangiare, lavorare, sudare, dormire e andare per strada. Si scandalizzavano dell'Incarnazione! Per Gesù fu debolezza essere uomo come gli altri, avere - lui, Figlio di Dio - un nome, dei parenti, una patria. Per coloro che proclamano oggi la novità evangelica è debolezza l'inevitabile scarto tra la parola e la vita, la stanchezza, la povertà di linguaggio o di cultura, qualche miseria nella propria famiglia. Bisogna fare uno sforzo per andare al di là di queste cose e riconoscere la parola del Signore anche attraverso la voce roca dell'annunciatore umano.
Un altro motivo di scandalo per i nazaretani fu questo: Gesù era un "laico " che pretendeva spiegare la Bibbia! Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? Come dire: pretende di parlare di queste cose senza aver fatto studi regolari! Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato? (Gv. 7, 15). Quanto spesso si rifiuta un'autentica parola di Dio e si sottovaluta un ammonimento perché detti da gente che non ha dei titoli; quanta diffidenza da dissipare - nonostante il Concilio Vaticano Il - intorno alla capacità dei laici di essere dei testimoni e profeti di Gesù anche "in mezzo ai dottori".