Omelia (09-07-2006)
padre Antonio Rungi
Gesu' percorreva i villaggi insegnando e guarendo le sofferenze umane

"Gesù percorreva i villaggi insegnando", così si conclude il testo del Vangelo di Marco che ascoltiamo oggi nella Liturgia della Parola di Dio della XIV Domenica del tempo ordinario. Il Vangelo ci presenta il Cristo impegnato nella sua opera di vangelizzazione, di proposta di un nuovo cammino di fede a quanti incontra lungo la strada e nel suo peregrinare da un villaggio all'altro. Non si ferma neppure di fronte al rifiuto di quanti lo conoscevano, della sua gente. Egli, infatti, sottolinea proprio questo rifiuto da parte di coloro che meglio e più degli altri lo dovevano accogliere come profeta, come colui che parla a nome di Dio, ovvero come Dio stesso nel caso specifico di Gesù Cristo.
Quanto siano ancora attuali queste parole di Gesù, lo sappiamo un po' tutti. Infatti le maggiori difficoltà, le più grandi incomprensioni, i ricorrenti rifiuti, le prese di distanza l'uno dall'altro avvengono nelle nostre famiglie, nelle comunità di vita, nelle realtà di tutti i giorni, ove siamo a gomito a gomito con gli altri e forse condividiamo la stessa mensa e non solo quella materiale, anche quella spirituale ed eucaristica.
Ecco il brano completo del Vangelo che richiede un doveroso approfondimento ed una contestualizzazione al tempo odierno: "In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua". E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità. Gesù percorreva i villaggi, insegnando".
Le tante difficoltà anche nel campo umano, relazionale, apostolico, pastorale che incontriamo giorno per giorno nella nostra vita e tra le persone che più conosciamo o nelle realtà territoriali ove normalmente siamo, non ci devono bloccare in quell'ansia missionaria e caritativa che deve essere costante nella nostra vita. Dobbiamo avvertire forte l'urgenza della carità e dell'andare incontro agli altri, come Cristo ha fatto. E se ci troviamo nella pratica situazione di fare poco per gli altri, in quanto ostacolati e contrastati, assumiamo il comportamento di Gesù che pur non potendo fare molti e significativi "miracoli" nella sua terra, si limitò ad essere vicino alle sofferenze dei più deboli, imponendo le mani a pochi ammalati e guarendoli anche.
Le difficoltà di operare il bene, soprattutto quando ci si trova di fronte a persone testarde, poco disponibili al dialogo, poco aperte, incapaci di uscire dalla personale visione delle cose, ci viene rammentato nella Prima Lettura odierna tratta dal Libro del Profeta Ezechiele, anch'egli oggetto di scherno e rifiuto da parte del suo popolo, quell'Israele dalla dura cervice che non accetta correzioni, né vuole cambiare vita :"In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: "Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio. Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genia di ribelli - sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro".
Diverso fu invece l'atteggiamento dell'Apostolo Paolo di fronte a Dio che lo chiamò a conversione totale, anzi, proprio perché toccato in modo singolare dalla grazia di Dio egli fu sottoposto a varie tentazioni, che come leggiamo nel testo di oggi della seconda Lettera ai Corinzi, servirono molto a far maturare in Paolo la coscienza della sua fragilità umana e parimenti la necessità di affidarsi totalmente a Dio se voleva, come poi di fatto avvenne, camminare sulla strada della perfezione e della santità: "Fratelli, perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte".
E' proprio straordinariamente vero che quando nella vita di un credente prevale la visione di fede in ogni situazione della sua vita, tutte le sofferenze e le vicissitudini, tutte le prove e i dolori acquistano significato diverso. Proprio quando siamo più deboli, avvertiamo dentro di noi questa grazia della vicinanza di Dio, della serenità dell'animo, della predisposizione maggiore ai disegni di Dio, e ci sentiamo di conseguenza più forti e capaci di affronate la vita, il dolore e la stessa morte. Quante persone toccate da gravi mali, soprattutto oggi, comprendono questa lezione, i cui contenuti essenziali troviamo espressi neii splendidi testi della Parola di Dio, come quella odierna, che viene in aiuto alla nostra debolezza e ci trasmette quell'indispensabile conforto umano e spirituale di cui abbiamo bisogno per andare avanti nel nome di Cristo e seguendo i suoi insegnamenti. Parola che illumina la mente e il cuore e ci indica il percorso da fare se vogliamo vivere il tempo presente che il Signore ci dona, tra gioie e dolori, con una chiara visione di ciò che siamo (e quindi della nostra debolezza) e ciò che saremo, quella felicità eterna che Cristo a promesso ad ogni uomo della Terra.
Ecco perché possiamo anche oggi pregare con le parole della chiesa che dice nell'orazione iniziale della S.Messa: "O Padre, togli il velo dai nostri occhi e donaci la luce dello Spirito, perché sappiamo riconoscere la tua gloria nell'umiliazione del tuo Figlio e nella nostra infermità umana sperimentiamo la potenza della sua risurrezione". Come per Gesù la sua potenza fu la Croce, così per ogni cristiano la Croce è il metro di lettura per capire ciò che è veramente l'uomo agli occhi di Dio. Nell'umiliazione c'è l'esaltazione, nella solitudine c'è la compagnia, nel dolore c'è la gioia. Sono i paradossi, per molti che non la pensano come noi, gli assurdi, le cose più impensabili che stridono, apparentemente con la mente e l'intelligenza umana, ma che, in realtà, sono in perfetta sintonia con il progetto di Dio, quello che chiede all'uomo la risposta della fede e non solo l'attenta analisi delle problematiche. Certo il dolore e la morte non sono un fatto naturale, ma violenza alla natura e alla felicità dell'uomo; ma se Cristo ha scelto di patire e di morire ha un senso l'uno e l'altro per ogni uomo della terra: questo senso lo si trova nella radice più profonda del patire e del morire che è quella dell'amore e della risurrezione. Se il chicco di grano non muore non produce frutto, non si espande e si estende per diventare spiga, poi grano e poi pane. E' la ciclicità di una storia di vita che ci deve insegnare a capire quella nostra debolezza, a volte congenita e nella quale ci abbandoniamo senza trovare più risposte spirituali dentro di noi per reagire e risorgere, ma soprattutto a porre in essere tutte i meccanismi interiori per riprendere il cammino, specialmente quando abbiamo toccato il fondo del peccato e della nostra umiliazione davanti a Dio e agli altri. Quando avvertiremo totalmente la nostra debolezza, allora sapremo individuare la strada giusta per risalire la china ed incontrare davvero Colui che può ridarci la vita e la gioia di vivere, pur in mezzo a sofferenze, abbandoni e stanchezze di ogni genere.