Omelia (09-07-2006)
LaParrocchia.it
«Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti» (Ez 2,2)

Fratelli nella fede,
gli abitanti di Nazareth riconoscono che il "fenomeno Gesù" è umanamente inspiegabile. Infatti dicono: "Da dove vengono a lui queste cose, questa sapienza, questi prodigi, da dove?". Nonostante ciò hanno difficoltà a credere in Gesù. Cos'è che fa difficoltà agli abitanti di Nazareth? È l'umiltà di Dio. Secondo loro non è possibile che Dio arrivi ad una tale povertà da presentarsi nella fragile carne di un uomo.

Quest'umiltà, questa pazienza di Dio sono anche la nostra difficoltà.
Cristo è l'inviato del Padre, il messaggero del suo amore: egli è venuto a portare agli uomini la buona novella. Ma questa missione non è finita con lui. Al mattino del suo ritorno in cielo, il giorno dell'ascensione, egli ha incaricato la sua chiesa, nella persona degli apostoli, a continuarla fino alla fine dei tempi. Non bisogna però credere che solo i capi della chiesa, papa, vescovi e sacerdoti, siano i portatori della sua parola.

Questo compito spetta ugualmente, anche se a titolo diverso, a tutti i fedeli: dopo aver accolto il messaggio ed essersene impregnati, devono anch'essi a loro volta diffonderlo e trasmetterlo.

Siamo convinti che Cristo è presente nella sua chiesa e nei suoi pastori, per quanto siano pieni di debolezze e di imperfezioni? «Chi ascolta voi, ascolta me!», ha detto il Signore. La nostra fede è abbastanza viva da farci vedere in essi i messaggeri e gli interpreti della sua parola e le guide del suo popolo?

Non prendiamo a pretesto i nostri pochi mezzi per rifiutare ogni responsabilità e ogni impegno al servizio della chiesa, della Diocesi, e delle nostre comunità parrocchiali.
Quante volte il Signore aveva avvertito il popolo d'Israele che, se si fosse ostinato nella sua ribellione, sarebbe stato castigato. Eccolo ora in esilio a Babilonia. Ezechiele condivide la sorte dei deportati.
Dio gli dà l'incarico di esortarli a riconoscere i loro torti e a convertirsi. Il profeta non deve esitare, nonostante la sua debolezza da una parte e la durezza dei loro cuori dall'altra.

Anche oggi come allora, è veramente grande la sproporzione tra il compito affidato ai predicatori del vangelo e i mezzi inadeguati di cui essi dispongono. Tuttavia non devono scoraggiarsi, perché Dio è con loro.

Per difendere il suo ministero contro certi intriganti gelosi, san Paolo si vede costretto a prendere in considerazione i doni straordinari che ha ricevuto. Per preservarlo da ogni sentimento di vanità, Dio ha permesso che una malattia, «una spina nella carne», lo renda consapevole della sua debolezza, e nello stesso tempo gli faccia comprendere che proprio in questo sta la sua forza.

La debolezza umana, riconosciuta davanti a Dio, non nuoce per nulla al ministero dell'apostolo. Al contrario, essa diventa per lui sorgente di luce, di calore e di forza. E proprio la debolezza che apre il cuore di Dio, al quale nulla è impossibile.

Come discepoli di Cristo, noi dobbiamo accogliere il suo messaggio, e trasmetterlo dopo averlo accolto. Dovere, ahimè, non sempre compreso! Quanti cristiani battezzati si ostinano in una passività che non ha nulla a che vedere col dinamismo di una fede autentica.

-Accogliere il messaggio evangelico. Sono duemila anni che Cristo l'ha portato agli uomini da parte del Padre suo. Duemila anni che non cessa di risuonare, trasmesso dai profeti, cioè dai pastori della chiesa. Siamo attenti ad accoglierlo, anche se quelli che hanno ricevuto l'incarico ufficiale di annunciarlo non hanno il prestigio dell'eloquenza, della scienza, e neppure quello della santità? Cristo non ha voluto anche lui apparire nella figura di un uomo mortale, soggetto alle debolezze della condizione umana? Abbiamo almeno quel tanto di umiltà, di semplicità di spirito e di fede, da passar sopra alle imperfezioni dei messaggeri evangelici, e, come dice san Paolo, «di accogliere la loro parola, come la parola di Dio, quale veramente è»?

-Trasmettere il messaggio. Forse per troppo tempo la pastorale ha lasciato credere ai fedeli che essi non avevano altro da fare che ascoltare la parola di Dio e di conformarvi la loro condotta. Errore, o per lo meno grave omissione! Ogni cristiano, in realtà, ha la missione, in quanto battezzato, di continuare l'opera di Cristo e di lavorare con lui per la diffusione del regno di Dio, dovunque egli sia, nella famiglia, nel posto di lavoro, nella scuola, nel suo ambiente abituale, quali che siano le sue attitudini, la sua cultura, la sua professione. «Nella chiesa tutti sono responsabili».

Da duemila anni una serie ininterrotta di persone Lo incontrano, Lo sentono e Lo credono vivo e risorto! Umili e geni hanno fatto l'esperienza di Cristo: S. Paolo, S. Agostino, S Benedetto, S. Francesco, S. Chiara, S. Caterina da Siena.
Non si può sfuggire alla presenza di Cristo. Anche chi lo bestemmia prende atto della Sua presenza (H. Daniel-Rops). Oggi noi siamo nella stessa situazione degli abitanti di Nazareth: è domenica, una delle domeniche delle nostra breve vita. Una parola, un pane consacrato, una comunità... per chi non vuol credere è troppo poco per incontrare Dio, per chi vuol credere è più che sufficiente per sentire la presenza di Cristo. Come a Nazareth!