Omelia (16-07-2006) |
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* La liturgia di questa domenica, è un invito a riflettere sul mistero della vocazione: essere chiamati per profetizzare, per invitare alla conversione, per guarire, ma soprattutto per testimoniare l'azione dello Spirito che agisce rinnovando tutto nel Cristo risorto. Nella 1^ lettura Amos si presenta come profeta che profetizza sventure nei confronti del re Geroboamo e del popolo di Israele. Insorge perciò Amasia sacerdote di Betel; le sue parole sono drastiche e autorevoli. Amasia dice: "Vattene – Ritirati - Non profetizzare più". La replica da parte del profeta Amos è profondamente motivata: egli è profeta perché è stato reso tale dal Signore: da una situazione estranea al profetismo, una situazione di povertà "Il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Và, profetizza al mio popolo Israele..." Il profeta dunque sottolinea il punto di partenza: la sua situazione di estraneità e incapacità ad assumere un'autorevolezza tanto impegnativa: la chiamata del Signore che lo ha investito della missione, è stato un avvenimento straordinario, ha sconvolto la sua esistenza: il Signore ha fatto irruzione nella sua vita: "mi prese dietro il bestiame" (v.15) "Il Signore ha parlato: chi potrebbe ricusare di essere suo profeta?" (Am 3,8) "Il Signore non fa cosa alcuna senza aver rivelato il suo consiglio ai suoi servitori, i profeti" (Am 3,7). In queste frasi emerge tutta la forza e la consapevolezza della missione: Dio parla, Egli prende con forza, ma dà nello stesso tempo una consapevolezza, una dignità all'uomo che dovrà riferire il suo pensiero, manifestare la sua volontà e - a volte vivere - nella propria esistenza, le sciagure minacciate al popolo sì da essere simbolo premonitore delle sventure, conseguenze delle infedeltà e dei peccati del popolo. Il profeta non è solo espressione del giudizio di Dio, lo è anche della sua consolazione, divenendo così segno vivente della fedeltà di Dio che annuncia tempi nuovi dentro situazioni disperate (cf. Am 9,11-15). Accanto a questo testo come non ricordare il famoso libro della consolazione d'Isaia che predice la venuta di Ciro, strumento nelle mani di Dio, che ricondurrà il popolo d'Israele nella sua terra dove potrà vivere di nuovo nella pace: Il Dio che giudica è inscindibile dal Dio che consola; e di questo grande messaggio il profeta è mediatore. * Nel Vangelo, come sempre, compaiono elementi di continuità ed elementi di novità rispetto al messaggio della 1^ lettura dell'AT. "Gesù chiamò i Dodici". Così inizia la pericope del Vangelo odierno. In realtà questa non è la prima chiamata: i Dodici erano già con Gesù che, dopo averli invitati a seguirlo (cf. Mc 1,16-20;2,13 ), "li costituì perché stessero con lui" (cf. Mc 3,13-19). Questi brani forniscono un importante presupposto per la comprensione del brano odierno. Anche per i Dodici c'è stato un invito alla sequela, un invito che li raggiunge in una situazione di povertà sì, ma da un lavoro sicuro, perché destinati ad una missione importante più grande delle loro capacità, dei loro orizzonti: "vi farò diventare pescatori di uomini.." (cf. Mc 1,7); "ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni" (cf. Mc 3,14). Ecco allora arrivato il momento della partenza; l'essere stati con Gesù è stato per i Dodici non soltanto un apprendere il messaggio da diffondere e il vedere lo stile e i modi con cui Gesù accostava le genti, ma un essere plasmati mediante una conversione esistenziale (a conferma di questo ci sarà di grande luce la 2^ lettura); per questo, allora, tutto l'apparato esterno cui devono rinunciare su invito di Gesù, non è una condizione per compiere un viaggio più agevole, senza sovraccarichi, e neppure per raggiungere uno spogliamento totale dai propri beni: è la necessità di conformarsi a Gesù, di essere liberi della sua libertà perché la trasmissione del messaggio non sia appesantita dal superfluo. I Dodici sono stati raggiunti in una situazione di povertà, ma la povertà necessaria per compiere la missione è di un'altra levatura: è una povertà esistenziale assimilata per la familiarità con Gesù, che si è fatto povero perché si è abbassato. Ed è infine una povertà che è manifestazione esterna della convinzione profonda che quello che si comunica è una ricchezza ricevuta gratuitamente. Ed ecco allora che la parola e l'azione dei discepoli, partiti riponendo la loro fiducia soltanto sulla Parola di Gesù, diventano efficaci; essi infatti sono portatori della Parola e dell'azione di un Dio che condanna il male, che invita alla conversione e che guarisce tutto l'uomo oppresso dalle malattie più profonde (..scacciavano i demoni..) e delle infermità del corpo con olio: azione sacramentale, azione dello Spirito che è olio. * Il brano di Efesini (1,3-4), inizia con un cantico al piano salvifico di Dio: c'è dunque una prospettiva esaltante: Siamo stati scelti fin dall'inizio (prima della creazione del mondo) e predestinati ad essere figli, eredi di una grazia sovrabbondante perché "Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà...il disegno di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra". Siamo dunque inseriti come protagonisti e collaboratori nell'attuazione di questo piano eterno: è un'eredità ricevuta gratuitamente perché "per primi abbiamo sperato in Cristo". A questo punto, quindi, si apre la prospettiva di una salvezza universale che parte da alcuni "primi", ricchi per un'eredità incommensurabile: la Sua Grazia, che ci fa partecipi del suo piano salvifico: la ricapitolazione dell'universo in Cristo. Che Dio ci abbia fatti partecipi di questo suo mistero, secondo Paolo, è una grazia che sta per grandezza sullo stesso piano della predestinazione eterna, della figliolanza di Dio, della redenzione e della remissione dei peccati. Noi perciò possiamo collaborare a questa grande opera di Dio se poniamo Cristo al centro del nostro piccolo mondo, Cristo che dà a tutto un senso e che tutto unifica. Lo Spirito, sigillo che ci contrassegna definitivamente come proprietà di Dio, è la potenza operante che, nell'obbedienza della nostra disponibilità, porta a compimento il piano salvifico di Dio. * Allora la "gloria di Dio abiterà la nostra terra", ci dice il Salmo 84, "la verità germoglierà dalla terra/ e la giustizia si affaccerà dal cielo...Quando il Signore elargirà il suo bene / la nostra terra darà il suo frutto": in questi versetti del Salmo responsoriale, emerge il mistero di una collaborazione per la pace e la giustizia: Cristo è il germoglio, il frutto che, nato da questa terra, cerca in essa i suoi collaboratori perché la sua gloria vi abiti per sempre. * A questo punto ripensiamo al piccolo raccoglitore di sicomori, ai poveri pescatori di Galilea, allo stesso Paolo che, da persecutore, l'elezione divina ha trasformato in apostolo delle genti, a tanti apostoli della fede, martiri per la fedeltà alla loro missione: un popolo di poveri che, ricchi della presenza dello Spirito, divengono anche oggi, con Cristo, collaboratori della salvezza secondo il piano eterno del Padre. Commento a cura delle Monache Benedettine di Citerna |