Omelia (16-07-2006) |
mons. Antonio Riboldi |
Sentiamo di essere "mandati"? Immagino il giorno in cui Gesù, abbandonata la casa di Nazareth, che per Lui era "il tempio della maturità e della conoscenza della volontà del Padre", esce allo scoperto e inizia la sua Missione di portare tutti alla conoscenza del Padre. Forse riflettiamo poco, anche se battezzati, sulla verità del nostro vivere: ossia sul perché siamo a questo mondo. Non certo per vagare senza un preciso indirizzo. E tutti sappiamo come non è permesso a nessuno "vagare nel deserto del mondo", perché significa smarrirsi, perdersi. Ricordo sempre quella giovane donna che, al termine di un convegno, proprio sulla necessità della nostra fede, dono immenso di Dio che è come la finestra aperta del Cielo, o se volete la "stella" polare che segna la strada della nostra vita segnata da Dio, mi accostò. Aveva il viso stravolto e più che piangere per dolore, piangeva di rabbia. Non tutto nella vita era andato per il verso giusto, anche perché il suo era un "verso" capriccioso. Con rabbia mi urlò: "Ma chi mi ha fatto quello che lei chiama "dono della vita" senza chiedermi il permesso? Sapesse quanto "vorrei" scendere da questa vita, ma sono vile e non ne ho il coraggio!" Siamo stati a lungo a parlare e lentamente la rabbia si scioglieva. Lei aveva i "suoi occhi nei miei", come a scrutare la verità della mia anima, più che ascoltare le parole. L'affascinava la serenità che era nel mio sguardo e me ne chiese la ragione. "La mia vita, come quella di tutti, la considero un grande dono del Padre. Ma bisogna conoscerLo e amarLo per conoscere la bellezza". Lentamente il volto di quella donna si rasserenò e pianse. Dopo alcuni mesi mi ringraziò e mi informò della sua intenzione di entrare in un convento "perché ho scoperto con Dio che la vita è meravigliosa ed ora voglio vivere con Lui la pienezza di questa meraviglia". Ma quanti, come quella ragazza, ora felice, navigano nella ignoranza di Dio Padre o addirittura non ne vogliono neppure sentire parlare, come non esistesse! Dovremmo ricordarci sempre che per conoscere l'amore, occorre cercarlo ed essere aperti ad accoglierlo. L'uomo contemporaneo "ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni". Decisi, quindi, sono la presenza e i segni della santità: essa è requisito essenziale per una autentica evangelizzazione, capace di ridare speranza. Occorrono testimonianze forti, personali e comunitarie, di vita nuova in Cristo. Non basta infatti che la verità e la grazia siano offerte mediante la proclamazione della Parola, e la celebrazione dei Sacramenti, è necessario che siano accolte e vissute in ogni circostanza concreta, nel modo di essere cristiani. Questa è una delle scommesse più grandi che attendono la Chiesa" (Ecc. in Europa 49). Parole forti che scuotono la nostra coscienza, che pure ama e cerca la verità. Ma è la via da seguire per chi davvero accoglie l'invito di Giovanni Paolo II ed ancora di più di chi ha a cuore che tra gli uomini del nostro tempo torni la Parola di Dio a essere "lampada per i nostri passi", "luce sul nostro cammino". Forse può creare in qualcuno di noi la paura di non essere all'altezza del compito che Dio ci affida. Certo occorre prima "conoscere la Parola". Da qui quella che non esito a chiamare "primavera dell'evangelizzazione", il moltiplicarsi dei "centri di ascolto" che oramai sono in tante parrocchie. E' la vera scuola non solo per conoscere, ma per farsi "plasmare dalla Parola". Perché non basta conoscerla, bisogna, come afferma il Papa, "essere testimoni", ossia mettere in gioco la propria vita in modo da essere credibili. Leggendo quanto la Chiesa ci propone oggi del profeta Amos, possiamo cogliere come Dio si rivolge alla nostra debolezza e ci faccia coraggio. "In quei giorni, il sacerdote di Betèl Amasìa disse ad Amos: "Vàttene, veggente, ritìrati presso il paese di Giuda: là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Bètel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno. Amos rispose ad Amasìa: "Non ero profeta, né figlio di profeta: ero un pastore e raccoglitore di sicomori; il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: Va' e profetizza al mio popolo Israele" (Am. 7,12-15). E' come una anticipazione alle parole che Gesù dice ai Dodici. "In quel tempo, Gesù chiamò i Dodici, ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né danaro nella borsa: ma calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: "entrati in una casa, rimanetevi finché ve ne andiate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno, andandovene, scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi a testimonianza per loro". E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano" (Mc. 6,7-13). E sappiamo tutti come dopo la Pentecoste iniziò il grande viaggio per le vie del mondo, degli Apostoli, e dopo di loro una grande "catena" di cristiani del Vangelo, fino ad oggi. E sono davvero tanti, anche oggi, nel mondo, in ogni parte del mondo, che annunziano il Vangelo fino a dare la vita per questo. Credo che tutti vorremmo, con quel coraggio che dà sempre lo Spirito che sostiene e suggerisce, ci fossimo tutti noi. Anche se siamo deboli, se ci sentiamo piccola cosa...anche se il nostro viaggio avviene nella nostra famiglia, nella nostra comunità, tra tanta gente che incontriamo, a volte indifferenti, a volte infastiditi, a volte proprio alla ricerca di chi lasci alle spalle "le voci insulse del mondo" e dica parole che generano amore, pace, speranza, amicizia. Questo è il Vangelo. Facciamo nostre le parole di quel grande vescovo di Recife, che passò la sua vita tra i diseredati in Brasile, divenendo per tutti noi un testimone del Vangelo: "Noi siamo specializzati nell'arte di scoprire in ogni creatura il suo lato buono: nessuno è tutto cattiveria. Noi non temiamo la verità perché, anche se può apparirti dura come a volte può sembrare Cristo quando ti invita a "lasciare tutto per Lui, o essere povero in spirito, essa però è autentica. Sei nato per essa. E la verità è la bellezza del cuore di Dio che fa capolino proprio nel Vangelo. Se cerchi di incontrarla, la verità, se dialoghi con lei, se l'ami, non c'è migliore amica e sorella. E non fermarti, perché è una grazia divina ben cominciare, ma è una grazia più grande continuare sulla buona via". E qui nasce quella grande ricchezza che tutti possediamo, ossia la possibilità di accostare i fratelli che sono privi della gioia di Dio e con tanta passione farli partecipi. C'era un tempo in cui questa missione era svolta dai nostri genitori che nel momento in cui accoglievano il dono di un figlio, subito mettevano al primo posto il dono della fede, ossia la conoscenza del Padre, che veniva prima, ripeto, di tutto il resto. Sapevano molto bene che per un uomo, per una donna, per chiunque, la vera felicità, il vero segreto della vita non stava nelle cose del mondo e neppure nella salute o in altro, ma nella fede vera. E non dimenticherò mai il giorno della mia ordinazione sacerdotale, al momento - così si usava un tempo - in cui papà, dopo l'unzione delle mani, da parte del vescovo, le legava. Era tanta la sua gioia che non seppe fare questo gesto di partecipazione alla mia missione. Ma come visse felice di avere un figlio sacerdote! Quanta gratitudine ho verso i miei genitori che mi partorirono più per la santità che per altro. Affermava il grande Papa Giovanni Paolo II, autentico testimone della missione tra la gente: "Se identico in ogni tempo è il Vangelo da annunziare, diversi sono i modi con cui tale annuncio può essere realizzato. Ciascuno quindi è invitato a "proclamare" Gesù e la fede in Lui in ogni circostanza, "attrarre" altri alla fede, attuando modi di vita personale, familiare, professionale e comunitaria che rispecchino il Vangelo: "irradiare" intorno a sé gioia, amore e speranza, perché molti vedendo le nostre opere buone, rendano gloria al Padre che è nei cieli, così da venire "contagiati", conquistati, divenire "lievito" che trasforma e anima dal di dentro, ogni espressione culturale. Il mondo reclama evangelizzatori credibili, nella cui vita in comunione con la croce e la resurrezione di Cristo, splenda la bellezza del Vangelo. Tali evangelizzatori vanno adeguatamente formati. Oggi più che mai è necessaria la coscienza Missionaria in ogni cristiano, a cominciare dai Vescovi, dai presbiteri, dai diaconi, dai consacrati, dai catechisti e dagli insegnanti di religione. Ogni battezzato, in quanto testimone di Cristo, deve acquisire la formazione adeguata alla sua condizione, non solo per evitare che la fede si inaridisca per mancanza di cura in un ambiente ostile, come quello mondano, ma anche per dare sostegno e impulso alla testimonianza evangelica. |