Omelia (23-07-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Commento su Marco 6,30-34 Nel brano evangelico della scorsa domenica (Mc 6, 7-13) Gesù inviava i Dodici ad annunciare il Vangelo, a scacciare i demoni, a guarire gli infermi. Li inviava a fare esattamente quanto faceva Lui. Il testo odierno presenta il ritorno degli "apostoli" (=gli inviati col potere e l'autorità di Gesù. Solo in questo passo Marco applica tale termine ai Dodici). "Si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato". Sono soddisfatti, entusiasti per il buon esito della missione, che è consistita nel "fare" e nell' "insegnare". Anche Gesù è felice nel sentirli raccontare le opere compiute da Dio attraverso di loro. Comunicare, con umiltà e discrezione, il lavoro di Dio nella propria vita e in quella degli altri, è gesto di condivisione e comunione fraterna, che dà lode a Dio e incoraggia vicendevolmente nel cammino di fede. Ne troviamo già diversi esempi nella Chiesa nascente (cfr. es. At. 4,23; 15, 4.12...). I Dodici sono felici, ma anche stanchi. Ciò non sfugge allo sguardo attento e penetrante di Gesù. Per questo li invita: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Gesù non dice: andate in un luogo appartato a riposarvi per conto vostro; ma: "Venite". Cioè li chiama a restare con Lui. Non basta interrompere l'attività, spesso snervante, per rifarsi le forze in un luogo qualunque e in un modo qualunque. Occorre riposarsi in sua compagnia. Anzi, lo stare con Lui è il vero riposo e il segreto per ricuperare le energie fisiche e spirituali (cfr. Mt 11, 28-30). Contro lo stress di ogni tipo - in specie contro lo stress apostolico o pastorale ("Non avevano neanche più il tempo di mangiare") - la medicina più efficace e l'accorgimento più saggio sono il ritagliarsi uno spazio, anche piccolo, di solitudine e di silenzio per dialogare con Gesù sia individualmente sia soprattutto insieme ad altri fratelli. Come Dio aveva condotto il suo popolo nel deserto per educarlo al rapporto fedele con Lui, così Gesù "in disparte" prepara i Dodici alla missione futura. Marco è attento a mostrare come il Maestro investe tempo e risorse nel formare il gruppo degli intimi al "servizio" e alla "comunione" (cfr. es: 4,34; 7, 17ss; 8, 14ss.27ss; 9, 33ss; 10, 32-45 etc). Un richiamo anche per noi, tanto spesso appesantiti da un ritmo di vita frenetico e convulso, e non di rado incapaci di procurarci un riposo che sia in grado di rigenerare le nostre forze. Quante volte per es. si ha l'impressione che molta gente parta per le vacanze come si parte per il fronte (purtroppo anche con morti e feriti) e ritorni magari più stanca, più esausta, più nervosa di quando è partita! Quanti sono consapevoli che nella successione defatigante delle settimane il riposo domenicale, e nel cuore di tale riposo la S. Messa - dove si è nutriti e tonificati dal Vangelo, dall'Eucaristia, dall'esperienza della fraternità -, è lo spazio "in disparte" in cui si ricupera l'equilibrio psicologico e spirituale contro il logorio della vita quotidiana? Lo spazio in cui si ritemprano le forze, si riprende carica, vigore e letizia per affrontare la fatica di una nuova settimana? "Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte". Il progetto di riposo si realizza solo parzialmente. Anzi, sfuma, perché la misericordia ha la precedenza su ogni riposo. La gente ha intuito e quando Gesù con i discepoli arriva al luogo prefissato, hanno la sorpresa di trovare la folla ad attenderli. "Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro perché erano come pecore senza pastore". Gesù vede una grande folla (come allora, anche oggi): è una massa sbandata, dispersa, disorientata, disunita, stanca e sfinita. A Gesù appare come un gregge alla deriva, perché manca un pastore che lo raduni, lo custodisca, lo guidi, lo nutra. E' una folla affamata: la fame fisica che attanaglia una parte sempre più grande della famiglia umana...E' fame di ogni genere, specialmente fame di valori, di affetto, di solidarietà, di comunione. Quanta gente denutrita anche tra i cristiani! Lo sguardo di Gesù abbraccia questa folla immensa e in essa ogni singola persona che soffre. E' uno sguardo di misericordia. Infatti, la situazione in cui si dibatte la gente non lascia Gesù nell'indifferenza, ma lo scuote nell'intimo: "Si commosse". Cioè provò compassione. In un'altra circostanza Gesù stesso confiderà ai discepoli: "Sento compassione di questa folla" (Mc 8,2). Il verbo ha un senso pregnante. Di per sé significa: sentirsi sconvolgere le viscere. Spesso è riferito all'affetto materno e quindi evoca una tenerezza profonda, materna appunto. Dobbiamo stare attenti a non lasciarci condizionare dal significato non di rado equivoco che nel linguaggio corrente si dà a questo verbo e sostantivo: cioè una compassione emotiva e superficiale. Qui invece si intende un atteggiamento di reale partecipazione e coinvolgimento. E' un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire insieme con l'altro". Abbiamo così incontrato l'associazione intima di due verbi: Gesù "vede" e "prova compassione". Non è uno sguardo freddo e neutrale, gettato a caso. Ma uno sguardo vigile e attento. Il "vedere" provoca il "sentire compassione", sfocia nella compassione. Il vedere è accompagnato, è connotato dalla compassione; anzi è preceduto e sollecitato dalla compassione. E' uno sguardo compassionevole. Gli occhi di Gesù sono occhi "misericordiosi", nei quali brilla l'infinita tenerezza del "Padre misericordioso". Una compassione attiva, che non rimane nella fase pur necessaria dell'osservazione, dell'analisi, ma si fa intervento concreto: "Si mise a insegnare loro molte cose". Gesù si manifesta come il Pastore vero che - diversamente dalle guide irresponsabili del popolo - raduna le pecore disperse e se ne prende cura. In Lui si compie la promessa del profeta Geremia (23, 1-6: I lettura) e si realizza il ritratto del Pastore amorevole che è il Signore stesso (cfr. Sal. 23: salmo responsoriale). Caratteristica di questo Pastore è la sua attenzione misericordiosa ai bisogni della gente. Gesù ama l'uomo nella sua globalità e nella sua concretezza. Per questo non si limiterà a saziare la fame fisica della folla (come mostrerà il seguito del testo), ma prima ancora la nutre con un abbondante insegnamento. Gesù sa che gli uomini hanno una necessità primaria di ricevere la sua rivelazione. E hanno un bisogno essenziale di comunione. Ecco perché vuole che la gente non si disperda. Gode di avere una famiglia raccolta intorno a Lui, vuole che rimanga unita. Lo fa anzitutto "insegnando". L'ascolto della sua parola è l'antidoto contro ogni divisione e ci rende suoi discepoli nell'unità di una sola famiglia. L'opera suprema di riunificazione del gregge disperso Gesù l'ha compiuta nella sua morte e risurrezione. E' il miracolo che Paolo, con accenti commossi, richiama in Ef. 2, 13-18 (II lettura). Egli ha "abbattuto il muro di separazione" tra il popolo eletto Israele e i pagani, e "ha fatto dei due un popolo solo", anzi "un solo uomo nuovo". "Egli è la nostra pace...Per mezzo di Lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito". E' la misteriosa e indicibile realtà della Chiesa, dove per pura grazia ci troviamo. Il triplice momento che abbiamo colto nel comportamento di Gesù (cioè la concatenazione dinamica tra vedere - aver compassione - intervenire) Egli non lo esaurisce in se stesso, non lo limita alla sua persona, ma vuole contagiarlo coinvolgendo i discepoli. "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'". Come intendiamo questo appello di Gesù e in che misura lo sappiamo attuare individualmente e comunitariamente? Mi fa paura il silenzio e il raccoglimento? Sono schiavo dell'attivismo? Come armonizzare azione e contemplazione? "Vide una grande folla": di fronte alle situazioni di bisogno come reagiamo? Le vediamo? Le vogliamo affrontare? Oppure ogni pretesto è buono per defilarci? In che misura facciamo nostri lo sguardo - la compassione - l'impegno concreto di Gesù? "Si mise a insegnare". Come ci poniamo di fronte all'insegnamento di Gesù? Lo accettiamo integralmente o soltanto nella misura in cui corrisponde ai nostri gusti e al nostro comodo? A nostra volta sentiamo la responsabilità di spezzare il pane della Parola, la gioia di condividere con gli altri il tesoro del Vangelo? |