Omelia (14-10-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Luca 11, 37-41 Il fariseismo rappresenta la deviazione più frequente della religione. In esso l'esperienza di fede viene ridotta a un meccanismo di cerimonie, di riti, di pratiche, senza preoccuparsi di riempirle di un contenuto. Il fariseo che ha invitato Gesù a pranzo è rimasto meravigliato che non abbia eseguito le abluzioni rituali prima di sedersi a tavola. I farisei credono di fare la volontà di Dio purificando l'esterno e dimenticando che Dio guarda soprattutto l'interno dell'uomo. Difatti si lavano attentamente e scrupolosamente prima dei pasti, ma dentro, nel loro cuore, rimangono pieni di cattiveria e di rapacità. Ma la vera purità interiore non si ottiene con i riti, ma liberando l'animo dall'attaccamento egoistico a noi stessi e ai nostri beni, per soccorrere gli indigenti. Il cuore diventa puro mediante l'amore fraterno. Il fariseo ha due caratteristiche: "presume di essere giusto" e "nientifica gli altri" (Lc 18,9), cioè li disprezza cordialmente e non li valuta per nulla. A queste due ne aggiunge una terza, comune a tutti: ama il denaro (cfr Lc 16,14), senza il quale nessuna presunzione è in grado di farsi valere. Egli si vanta davanti a Dio e agli uomini, rubando la gloria di Dio e disprezzando i fratelli. Ha sostituito la misericordia di Dio con la propria impeccabilità. Invece di mettere Dio al centro di tutto, ha messo se stesso. Anche Dio è in funzione di lui. Il fariseo è il "nemico" numero uno di Gesù ed è quindi particolarmente amato da lui (cfr Lc 6,27.35). Il vangelo di Luca sembra scritto apposta per convincere i giusti che sono peccatori, e così convertirli e salvarli insieme con gli altri peccatori pentiti. |