Omelia (30-07-2006)
Omelie.org - autori vari


Ancora una volta Gesù ha compassione per la folla che lo segue. Domenica scorsa scoprendo la confusione e la povertà spirituale della gente si commosse addirittura vedendo le persone così indifese, così sbandate, così stordite dalla propria e altrui miseria. Come pecore senza pastore, persi, prigionieri della nostra libertà. Commosso da tale povertà si mette a insegnare, instancabilmente, nella speranza di poter trasmettere le coordinate di un percorso, una chiave di lettura dell'esistenza. Oggi si preoccupa invece della fame della gente. Come è rassicurante costatare che il Signore si preoccupa di ogni nostra esigenza sia essa spirituale che materiale. Come racconta Giovanni, Gesù alza gli occhi, non distoglie mai lo sguardo da noi, da ciascuno di noi. D'altra parte se siamo le sue pecorelle ci conosce e ci ama una ad una, siamo al tempo stesso la sua fonte continua di preoccupazione ma anche la sua ragione di vita. Come i figli per il babbo e la mamma. Alza gli occhi e si preoccupa dello stato di quella gente. Nessuno aveva ancora chiesto alcunché, nessuno si era lamentato. Gesù precorre la loro esigenza di nutrimento. Provvidenza che vede prima e meglio ciò di cui abbiamo realmente bisogno. Provvidenza operosa che si mette in azione, nascostamente. Provvidenza che si serve della delicatezza, dell'entusiasmo, della disponibilità e della fede di un ragazzo che mette a disposizione quel che poco che ha nella sua bisaccia, senza esitazioni, senza chiedere garanzie. Quel ragazzo di cui non conosciamo neppure il nome sembra essere un modello di vocazione cristiana. Il Signore, la Chiesa, il mondo hanno bisogno di cristiani che sappiano mettere a disposizione di Dio e, attraverso di Lui, a disposizione di tutti, il proprio piccolo bagaglio umano. La frugale merenda di un ragazzo diventa miracolo di Dio, segno nella storia degli uomini della sua partecipazione, del suo coinvolgimento personale, della sua provvidenza. Grazie a quel ragazzo il divino entra nella storia e la trasforma. I santi, in fondo, sono stati dei ragazzi che hanno messo a disposizione di Dio i loro pani e i loro pesci. Il dono di quel ragazzo ha sfamato quella folla, quella piccola porzione di una umanità affamata. Ogni cristiano è chiamato a mettersi a disposizione nella situazione in cui si trova. E', in fondo, il senso profondo della lettera di Paolo che ci esorta a comportarci in maniera degna della vocazione che abbiamo ricevuto. Ognuno al suo posto con umiltà, mansuetudine e pazienza. Nella nostra famiglia, nel nostro lavoro, nella nostra chiesa, ovunque e con tutti.
La gente non capisce il miracolo del ragazzo, più facile e più comodo dare tutto il merito al nuovo profeta. Lasciamolo fare, ci penserà lui a risolvere le situazioni. E quando ciò non accade perché non si trova un ragazzo pronto a collaborare, il profeta si può accantonare, non serve più. Di fronte a questo atteggiamento utilitarista e superficiale della folla, Gesù si ritira sulla montagna, tutto solo. Probabilmente a riflettere sulla insipienza degli uomini. A chiedersi come riuscire a farsi capire, a non essere frainteso. A scorrere la storia futura per cogliere con un solo sguardo tutti i tradimenti e gli abbandoni degli uomini a venire.
Senza quel ragazzo la gente sarebbe rimasta affamata così come senza il sì di Maria la nostra redenzione non sarebbe potuta avvenire. Questa è la strategia di Dio, questo è il ruolo che dobbiamo svolgere per realizzarci come cristiani: cooperatori alla sua opera di salvezza nell'ambiente in cui ci ha chiamati a vivere, amare e lavorare.

Commento a cura di Stefano e Teresa Cianfarani