Omelia (30-07-2006)
mons. Antonio Riboldi
Una umanità che ha fame

C'è una realtà davanti a cui vorremmo chiudere gli occhi per non vedere, le orecchie per non sentire, è quella di milioni di fratelli e sorelle che in ogni parte della terra pare si rivolgano a noi per chiedere un pezzo di pane. E per pane intendiamo tutto quello che è vita: dalla possibilità di mangiare e bere, alla possibilità di esercitare il diritto dovere del lavoro e quindi conoscere la bellezza di una famiglia, ancora di più scoprire il vero senso della vita, perché tante volte si ha tutto e si "ha fame" della felicità, dell'amore.
E nessuno, davanti alla giustizia e a Dio può chiudere porte e finestre a questa moltitudine che ci interpella.
Chi di noi non ha incontrato un fratello o una sorella che tende la mano o bussa allo nostra porta per conoscere almeno la pietà?
E ancora di più, chi non ha incontrato fratelli, sorelle, amici magari, che non cercano il pane materiale, ma quel pane dell'anima che solo Dio può darci e dà tante volte attraverso la nostra bontà?
"Non chiedo nulla a nessuno, mi diceva un giorno una giovane, riesco a tirare avanti i miei giorni, anche se con tanta difficoltà. Non tutti nascono con la fortuna di avere tutto e non tutti hanno la possibilità di farti partecipare al bene che hanno: ma cerco chi mi ascolti e mi accolga e mi offra un pezzo di pane che è l'affetto, tante volte più necessario del pane fatto di farina. Ma come è difficile trovare queste persone. E la vera bontà è qui".
Rovistando nei ricordi della mia vita, ci fu un lungo tempo in cui, dopo il terremoto, si era tutti costretti a vivere in anguste baracche che sembravano fatte per negare la speranza. Era difficile per me, loro padre, parlare di Pane del cielo. Ci provavo tante volte, recandomi frequentemente nelle loro baracche, dove si radunavano in attesa di parole di speranza. Facevo loro catechesi: parlavo dell'amore di Dio, della Provvidenza. Mi ascoltavano attenti. Ma alla fine, congedandosi, mi rivolgevano la domanda che era il "solo pane che credevano necessario": "Ma quando si ricostruiranno le nostre case?" Capivo che quella povertà impediva di guardare in Alto.
Venne il momento della ricostruzione: sorsero le prime case e quindi sembrava avessero raggiunto il tutto della vita. Ma presto si rivelò che la casa non era il tutto. C'era un di più che andava oltre la casa, oltre questa nostra vita, ossia la gioia di Dio. Racconta Giovanni l'apostolo, nel Vangelo: "Gesù andò dall'altra parte del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli...Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da Lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?. Diceva questo per metterlo alla prova: egli infatti sapeva bene quello che stava per fare". In soccorso alla povertà di Gesù e dei suoi discepoli viene Andrea con una frase che svela la povertà di tutto il mondo ieri, oggi e il poco che possiamo fare. "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci: ma cos'è questo per tanta gente?" E Gesù disse: "Fateli sedere". "C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Li raccolsero e riempirono dodici canestri, con i cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo! Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò sul monte, tutto solo" (Gv 6, 1-15).
Gesù non aveva voluto sottrarsi alla carità, che in quel momento gli suggeriva quella moltitudine che era accorsa per sentirlo, certamente per vedere i grandi segni di guarigione che operava, ma non andava oltre.
Lo cercavano forse per ragioni che stavano a cuore a Gesù, che non si sottraeva alla compassione della gente, ma non era "la ragione" del suo essere tra di loro. Dio va sempre oltre i segni di amore, che si fermano a questa vita: i suoi sono come l'invito a seguirLo oltre, dove non ci sarà più fame, il Cielo. E proprio partendo da questo prodigio, verrà il momento in cui farà il discorso stupendo, il discorso che "va oltre", dicendo: "Io sono il pane della vita". E' allora che la mentalità dell'uomo, davvero terrena, sarà incapace a seguirLo e Lo abbandonerà. Il discorso della Eucarestia.
Come è uguale la gente di oggi e di sempre a quella folla, che forse vede in Dio solo uno che fa segni risolvendo problemi della terra, ma è incapace di accogliere il grande discorso della santità.
Certo è stata una meravigliosa lezione, che va bene per tutti noi, quello di preoccuparsi o di occuparsi dei "poveri", ossia di una moltitudine che manca del necessario. La carità temporale è una realtà che continuamente bussa alla porta di tutti. Guai a fare finta di non vedere. Faremmo la figura del sacerdote e del levita che sulla strada che, da Gerusalemme conduce a Gerico, incontrano l'uomo semivivo, derubato, maltrattato e abbandonato. La morte di quel povero uomo, che poteva venire salvato dalla carità, sarebbe stata la condanna che Gesù pronuncerà nel giudizio universale. Occorre essere capaci di interrompere il ritmo della nostra quotidianità e fermarsi, scendere dalla nostra tranquillità, per riportare a vita il semivivo.
E di poveri che vivono sotto la soglia della sopravvivenza ce n'è dappertutto. Il mio pensiero corre, con il vostro, ai tanti che fuggono dai loro paesi, e cercano sicurezza tra di noi, ossia gli immigrati. E non sempre trovano accoglienza.
Quando ero parroco, d'estate, mi recavo a visitare i tanti nostri fratelli che cercavano lavoro e quindi sostentamento alle famiglie in Germania, Svizzera. Stavo con loro per giorni, condividendo la misera provvisorietà, in attesa di riuscire a dare serenità ai loro cari. E quante volte più che di sdegno, mi sono sentito il cuore colmo di lacrime, nel vedere come venivano questi emigrati sopportati, usati, ma non considerati. E mai dimenticherò che un giorno di festa volendo seguirli in una serata presso un meraviglioso parco, mi vidi respinto con loro da un cartello che diceva: "Vietato ai cani e agli italiani". Se questa è civiltà...non certamente carità!
Che non succeda a nessuno lo stesso. Saremmo davvero lontani dall'esempio di Gesù che ebbe compassione dei cinquemila che erano accorsi a Lui e li sfamò.
Ma c'è un mondo di poveri di cuore, poveri di serenità, poveri di gioia. Una moltitudine che si sente sola, come non esistesse o non ci fosse posto nel cuore di chi è vicino. Vivono in un mondo popoloso come non esistessero e cercano disperatamente qualcuno che si accorga almeno che esistono e doni il pane del sorriso e della amicizia. E' anche a questa moltitudine che Gesù ci invita a "dare da mangiare".
Ripenso al cuore dei santi della carità, cominciando se volete da Madre Teresa di Calcutta. Sembrava avesse due braccia immense che sapevano accogliere tutti i poveri del mondo. Non aveva paura del come dare da mangiare. Sapeva che Dio riempiva i cesti. "Un giorno, mi raccontò, avevo bisogno a Calcutta di un medicinale che si poteva trovare solo in America. Non sapevo che fare. Il mattino aprendo la porta trovai un cesto pieno di tante cose e bene in vista, sopra tutte, vi era il medicinale che cercavo". Se questo non è "collaborazione della bontà di Dio" con quella dell'uomo, non saprei proprio come definire Dio amore.
E Dio lo fa sempre quando si incontra con la povertà di chi vorrebbe donare. Manda sempre chi sa riempire le mani per riempire mani di altri. Come sarebbe bello fare sentire che Dio è così vicino.
Vorrei dirlo in questo momento, a chi si sente "povero di cuore", che occorre alzare gli occhi al Padre e incontreremo anche colui di cui Dio si serve per comunicare quella gioia che il pane del mondo non sa dare.
Scriveva Quoist: "Non ci siamo ancora adeguati al modo di agire del Padre. E' umiliante avere continuamente bisogno degli altri, è esaltante scoprire che gli altri hanno bisogno di noi. Non dobbiamo metterci in condizione di chi possiede dei beni, e "si occupa" di chi non ne ha, ma di chi desidera spartire da pari a pari. Non dobbiamo essere sempre coloro di cui si ha sempre bisogno, ma coloro che a volte hanno bisogno degli altri. Non dobbiamo essere coloro che danno sempre senza tregua, ma coloro che guidano e inducono altri a donare. Quando aiutiamo qualcuno a superarsi, lo facciamo diventare maggiormente uomo e persona, figlio libero e generoso come lo desidera il Padre. Cosa possiamo dare di più bello all'uomo che "l'essere uomo?"
Signore aiutaci a prodigarci di meno, ma non ad amare di meno. Aiutaci a rendere grandi gli altri, mentre noi diventeremo piccoli, a dare di meno e a chiedere a loro di più, a renderli atti a salvare invece che a salvarli. Allora, Signore, noi saremo non benefattori, non dei padri, ma dei fratelli per i nostri fratelli" (Appuntamento con Cristo).