Omelia (13-08-2006)
mons. Ilvo Corniglia


Il presente brano evangelico è ritagliato da un lungo discorso che Gesù tiene alla folla dei Galilei il giorno dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani. Nella prima parte di tale discorso – che avremmo dovuto ascoltare la scorsa domenica, ma è stata sostituita dal vangelo della Trasfigurazione del Signore – la rivelazione di Gesù conteneva una...pretesa inaudita: "Il pane di Dio è colui che discende dal cielo...Io sono il pane della vita" (Gv 6, 33-35) Come dire, Egli è l'unico cibo, donato da Dio agli uomini per sostenerli e saziarli nel loro cammino. E' la risposta completa e sovrabbondante che Dio nel suo amore dà agli uomini per la loro fame e sete di felicità.
La reazione dell'uditorio? "I Giudei mormoravano". Propriamente si tratta di Galilei. Ma nel IV Vangelo il termine "Giudei" designa abitualmente coloro che rifiutano la rivelazione di Gesù e gli sono ostili. Il verbo "mormorare" nell'A.T. descrive - abbastanza costantemente - l'atteggiamento del popolo o di una parte di esso che contesta l'agire di Dio, il modo con cui Dio realizza il suo disegno, conducendo per es. Israele nel deserto e nutrendolo con la manna. Un atteggiamento che manifesta mancanza di fiducia in Dio e incredulità. Nel nostro testo i "Giudei" rifiutano Gesù come "pane del cielo" e il dono che Dio offre per mezzo di Lui. Sembrano avere buone ragioni: "Costui non è forse il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre". Cioè ha la stessa origine di tutti noi. Non può quindi essere disceso dal cielo. Inoltre secondo la concezione corrente nessuno poteva conoscere il luogo di provenienza del Messia. Essi invece sanno che la patria di Gesù è Nazareth. Impossibile quindi che sia il Messia. E' lo scandalo dell'Incarnazione. Non si accetta che Dio ami a tal punto da cercare gli uomini e perdersi tra di loro, diventando uomo Lui stesso. Non c'è bisogno che gli uomini facciano sforzi titanici per salire fino a Dio. E' Lui che prende l'iniziativa, superando la distanza abissale che lo separa da loro, e li raggiunge attraverso Gesù. Ma per l'uomo è intollerabile e "incredibile"che Dio arrivi a tanto e non tenga le distanze.
Gesù non risponde alla contestazione dei Giudei: non si perde in spiegazioni sulla sua origine trascendente, ma li esorta a non "mormorare" (una seconda volta ricorre tale verbo). Li invita, cioè, a rinnovare la fede in Lui.
A questo punto Gesù dichiara che credere in Lui non è un atto semplice e scontato, ma è un avvenimento decisivo nella storia di una persona. Un avvenimento che accade anzitutto per l'intervento del Padre: "Nessuno può venire a me (= può credere in me), se non lo attira il Padre che mi ha mandato". All'origine della fede in Cristo c'è un'azione misteriosa del Padre nel cuore dell'uomo che lo "attrae" e lo mette in contatto con Gesù. E così, credendo in Gesù, l'uomo riceve la vita divina che avrà il suo sbocco finale nella risurrezione del corpo: "e io lo risusciterò nell'ultimo giorno". La fede in Gesù non è quindi l'approdo di una ricerca e di uno sforzo puramente umani, non è il "prodotto" dell'attività razionale dell'uomo; ma è un dono, esclusivamente gratuito, di Dio che opera dentro l'uomo stesso. Tale azione interiore Gesù la chiama "attrazione": un termine che ci fa quasi pensare a una conquista o seduzione amorosa.
"Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio". Gesù cita Isaia (Is 54,11). L'azione interiore di Dio, descritta come "attrazione", ora è chiamata "insegnamento". E' un'azione didattica, un rapporto dialogico tra maestro e discepoli. In che senso? Il Padre non rivela se stesso se non attraverso Gesù, non dialoga intimamente con l'uomo se non attraverso Gesù. Perciò questa istruzione interiore del Padre coincide con l'insegnamento di Gesù, ma insieme predispone il cuore di chi ascolta a riceverlo. "Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui viene a me". La parola di Gesù che risuona esteriormente è la parola del Padre che risuona dentro il cuore. Mentre ascolto Gesù, ascolto il Padre. Ecco l'intervento divino che genera la fede in Cristo. A questo punto Gesù fa una precisazione essenziale: "Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre". Se il Padre esercita nell'uomo un'azione interiore di "attrazione" e di "insegnamento", ciò non comporta che il credente abbia un rapporto immediato con Dio. Solo Gesù "ha visto il Padre", cioè ha una conoscenza immediata di Dio e la comunica a chi crede. Egli rimane l'unico "mediatore" della nostra relazione con Dio. Alla base di ogni nostro atto di fede in Gesù c'è sempre la parola che Egli ci rivolge (ancora oggi es. nel Vangelo e nel resto della Scrittura) e - in perfetta concomitanza e profonda "sinergia" - l'azione interiore del Padre che ci attrae a Gesù, ci ammaestra, ci parla.
Tutto questo processo comporta ovviamente la libera risposta dell'uomo: cioè l'attenzione alla parola di Gesù e il non resistere all' "attrazione" del Padre, la docilità al suo insegnamento. Sant'Agostino suggerisce: "Non ti senti attirato? Prega perché ti attiri". La fede, se è dono, è anche una presa di posizione dell'uomo, il suo abbandonarsi liberamente a Dio che vuole incontrarlo in Gesù.
Siamo così in grado di comprendere tutta la portata della solenne affermazione di Gesù: "In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna". Attraverso la fede, che ci mette in relazione intima con Gesù, riceviamo da Lui la vita divina come un dono attuale e permanente. Egli infatti è "il pane della vita". Come la vita fisica è assicurata dal pane materiale, analogamente la vita eterna è "prodotta" da Gesù, pane di vita. Gesù ripete la solenne affermazione del v. 35: Egli è "il pane della vita"; non un pane qualunque, ma l'unico pane capace di dare la vita eterna. Lo ribadisce riprendendo espressamente il confronto con la manna, il cibo che aveva nutrito i padri nel deserto, ma non aveva potuto impedire che morissero: "questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia". Il pane proveniente da Dio, dono di Dio, che è Gesù stesso, comunica una vita che, essendo divina, esclude la morte eterna. La morte fisica sarà un episodio che verrà poi superato dalla risurrezione finale.
Il "pane della vita" va mangiato. Gesù si riferisce alla sua parola, alla sua rivelazione che va accolta e interiorizzata. L'immagine del "mangiare" esprime il processo di penetrazione intima e di assimilazione della parola di Cristo. La parola di Gesù "si mangia" attraverso la fede. E' così che si ottiene la vita. Ma è necessario anche ricevere la persona di Gesù sotto le specie del pane e del vino. Questo significato è già presente in modo allusivo e implicito nel racconto del miracolo e nel discorso sul "pane della vita". Gesù si appresta ora a offrire in modo esplicito e aperto la sua rivelazione sull'Eucaristia: "E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". La Parola e il Sacramento sono inseparabili. La manna era un rimando prefigurativo a entrambi, anche se in modo più specifico all'Eucaristia. Così pure l'episodio di Elia che, sostenuto nel viaggio attraverso il deserto dal cibo donatogli dal Signore, arriverà all'appuntamento con Lui al monte Sinai (1Re 19,4-8: I lettura).

Il "pane della vita", il pane "vivo" è Gesù nella sua parola, nella sua rivelazione. Chi "mangia" questo pane che è Lui, cioè chi lo accoglie nella fede assimilando la sua parola, riceve la vita già ora e "vivrà in eterno". Qual è la qualità del mio ascolto? Sant'Agostino rimproverava i suoi cristiani perché nel ricevere in mano il pane eucaristico facevano attenzione che nessuna briciola cadesse per terra, ma non ponevano la stessa cura per non perdere nessuna delle parole di Dio che ascoltavano.

Mentre ascoltiamo la parola di Gesù, il Padre ci attira, ci ammaestra, ci parla. Siamo consapevoli ogni volta di quanto accade? Quale risposta diamo?