Omelia (20-08-2006) |
mons. Ilvo Corniglia |
Commento Giovanni 6,51-58 Da qualche domenica stiamo ascoltando un lungo discorso dove Gesù presenta se stesso come "il pane della vita". L'unico, cioè, che può saziare completamente la fame di ogni uomo: fame di verità, di vita, di felicità; desiderio di Dio, in definitiva, di cui è impastato il cuore umano. L'unico in grado di comunicargli una vita che supera la barriera della morte, anzi una vita "eterna", la vita che è propria di Dio stesso. Condizione necessaria da parte dell'uomo è "mangiare" questo pane, cioè accogliere nella fede la parola di Gesù; ma anche ricevere la sua persona nell'Eucaristia. E' la rivelazione chiara ed esplicita che ascoltavamo a conclusione del brano della scorsa domenica e che la Liturgia ha voluto ancora riportare in apertura del brano odierno: "...e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Si ha qui un sicuro riferimento alle parole eucaristiche di Gesù riportate negli altri Vangeli e in Paolo: "Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi (o "per i molti", cioè tutti)". Gesù annuncia un avvenimento futuro: la sua "carne", cioè la sua persona, Egli la darà liberamente per amore, anzi la offrirà in sacrificio a Dio per la salvezza del mondo. E' l'evento della morte-risurrezione da cui scaturirà la vera liberazione degli uomini (Pasqua) e la piena comunione con Dio e tra di loro (Alleanza). Tutto questo Gesù lo metterà a disposizione, lo renderà presente perché ogni uomo della storia possa venire a contatto con tale avvenimento. La sua "carne", cioè la sua persona sacrificata, Gesù la donerà come "pane" da "mangiare", cioè da ricevere con fede nel Sacramento, lasciandosi nutrire dalla sua pienezza di vita. L'Eucaristia è "il Redentore e la Redenzione resi interamente presenti" (GiovanniPaolo II). E' un sacrificio conviviale. A tale banchetto Gesù invita, riprendendo l'appello pressante della Sapienza: "Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato" (Prov 9,1-6: I lettura). Gesù sottolinea con forte insistenza soprattutto l'aspetto di cibo che comunica la vita divina. In particolare è la sua "carne" (in seguito preciserà "carne e sangue", col riferimento più marcato alla morte sacrificale) il nutrimento carico di vita. Nel nostro testo il termine "carne" richiama l'affermazione centrale del prologo del Vangelo: "Il Verbo si fece carne" (Gv 1,14). L'Eucaristia è il "prolungamento" dell'Incarnazione: il Figlio di Dio - che è divenuto uomo, ha sofferto, è morto ed è risorto- ora è interamente presente nell'Eucaristia e "continua a offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina" (GvPl II). Nell'Eucaristia il credente si nutre del "Verbo fatto carne". L'incontro con Lui attraverso l'accoglienza della sua parola raggiunge l'apice nella recezione del Sacramento. L'affermazione di Gesù provoca una reazione molto forte nei Giudei. Se precedentemente "mormoravano" (v. 41) per la sua "pretesa" di essere "il pane della vita...disceso dal cielo", ora disputano accanitamente (in senso letterale: "combattevano"): "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" Gesù non attenua la sua affermazione, ma con la massima forza dichiara che "mangiare la sua carne e bere il suo sangue", cioè riceverlo con fede nel rito eucaristico, è una necessità per vivere. Lo esprime prima in forma negativa e subito dopo, in modo parallelo, in forma positiva: c'è un legame stretto e imprescindibile tra il "mangiare la sua carne" e la "vita eterna". Si tratta di un vero "mangiare" e di un vero "bere". L'effetto è la vita divina che qui Gesù presenta come una vita attuale, reale, all'interno dell'uomo "...non avrete in voi la vita... ha la vita eterna" Questa vita, poi, avrà il suo sviluppo completo nella risurrezione finale. Investirà cioè il corpo stesso del credente, rendendolo conforme al Cristo risorto: "e io lo risusciterò nell'ultimo giorno". Gesù chiarisce il nesso essenziale fra il "mangiare"e la "vita eterna": "Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda". L'Eucaristia è cibo vero, reale. Come il cibo e la bevanda sono gli elementi da cui dipende e viene sostenuta la vita materiale del corpo, così "la carne e il sangue" di Gesù realmente comunicano e alimentano la vita eterna. "L'Eucaristia è vero banchetto, in cui Cristo si offre come nutrimento...Non si tratta di un alimento metaforico" (Eccl. de Euch. 16). Tra il cibo e chi lo prende si attua un incontro "assimilante". A questo punto Gesù afferma che mediante l'Eucaristia si compie una specie di "compenetrazione" reciproca fra Lui e il credente: "...dimora in me e io in lui". Queste parole suggeriscono di vedere l'incontro eucaristico come un abbraccio intimo, come una... "fusione", con l'effetto che il fedele viene in qualche modo "trasformato" in Cristo. "Non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma anche Cristo riceve ciascuno di noi. Egli stringe la sua amicizia con noi". (Eccl. de Euch. 22). In senso più profondo, potremmo intendere così: la più stretta unione personale e lo scambio reciproco fra Gesù e il fedele sono frutto del "mangiare" e cioè della vita divina che tale cibo comunica. Ora la vita divina è essenzialmente "comunione trinitaria", secondo cui le Tre Persone sono reciproco dono di sé che le fa abitare l'una nell'altra. Di conseguenza il rapporto con Gesù che l'Eucaristia produce consiste nel partecipare al ritmo della vita trinitaria, che è intima e infinita "compenetrazione" di Tre Persone distinte e unitissime. A questo punto Gesù fa una delle affermazioni più dense e più belle di tutto il Vangelo: "Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me (letteralmente: mangia me) vivrà per me". Come in Gesù l'origine della vita divina, che possiede, è il Padre "vivente" (cioè Colui che vive in pienezza e fa vivere), allo stesso modo Gesù è l'origine della vita per chi lo mangia. Prima diceva "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue". Ora: "Chi mangia me". Quindi "carne e sangue" indicano la persona di Gesù. Una sola vita divina, quella che il Padre riversa nel Figlio Gesù, attraverso Gesù passa nel credente che lo riceve nell'Eucaristia e dilaga in lui. In altri termini, come Gesù "vive per il Padre", cioè tutta la sua vita la riceve dal Padre che semplicemente vive la sua vita in Lui, così chi lo riceve nell'Eucaristia "vive di Gesù", ha in sé la vita di Gesù che semplicemente vive la sua vita in Lui, la vita trinitaria. Lo scopo dell'Incarnazione, la missione del Figlio inviato dal Padre a dare agli uomini la vita, trova il suo compimento nell'incontro eucaristico. Nell'ultimo versetto Gesù riprende l'affermazione iniziale del brano. In tal modo riassume e conclude il suo intero discorso: "Chi mangia di questo pane vivrà in eterno". L'esperienza di incontro con Dio e tra fratelli, vissuta nella celebrazione eucaristica, va trasferita nella vita di ogni giorno. È in questa linea l'esortazione di san Paolo: "...siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo". (Ef 5, 16-20: II lettura) Il culto comunitario, e in specie quello eucaristico, si compie in modo corale e in piena sintonia, "cantando e inneggiando al Signore con tutto il cuore", mossi dallo Spirito Santo. È una comunità che, traboccante di entusiasmo, ringrazia Dio con giubilo (come Maria nel Magnificat) "per ogni cosa". Ma il "rendere grazie continuamente a Dio nel nome del Signore nostro Gesù Cristo" (= in unione con Lui e per la sua mediazione) – cioè la lode e la gioia che caratterizzano la celebrazione eucaristica – deve diventare atteggiamento abituale in tutte le espressioni della vita quotidiana. Questa sarà interamente e senza tregua: riconoscenza, gioia, canto d'amore al Padre con Gesù e per mezzo di Lui nello Spirito Santo. Gesù poteva usare parole più convincenti per motivare la nostra partecipazione all'Eucaristia? Riascoltando questo testo, proviamo a pensare che cosa accade ogni volta che ci accostiamo alla Santa Comunione, e quali effetti produce l'incontro con Gesù. Quale amante è così disponibile fino a "farsi mangiare"? Ma se lo accolgo in me, come potrò non "farmi mangiare" anch'io? |