Omelia (06-08-2006)
don Romeo Maggioni
Maestro, è bello per noi stare qui

Gesù ci ha parlato spesso della preghiera; ma di sue ne abbiamo poche; quella di oggi ha effetti prodigiosi: la sua Trasfigurazione.
Nell'incontro con Dio l'uomo si trasfigura. Come Mosè dopo il colloquio con Dio aveva un volto raggiante, così per Gesù nell'incontro col Padre "il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Vediamo di che si tratta e che senso ha per noi.

1) IL FATTO

Gesù nella sua preghiera sta "parlando con Mosè ed Elia della sua dipartita (del suo ESODO) che avrebbe portato a termine a Gerusalemme". L'esodo cioè della sua morte-risurrezione, il passaggio difficile dalla obbedienza della croce alla glorificazione in cielo. In questo "conversare" di Gesù con le Sacre Scritture (La Legge e i Profeti rappresentati da Mosè ed Elia), egli scopre il suo destino ultimo: quel che sta oltre il guado duro della morte e la sua esaltazione alla destra di Dio. La conferma della strada giusta intrapresa nell'abbandono al disegno del Padre sta in quell'intervento della Voce: "E dalla nube - segno della presenza di Dio - uscì una voce: Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!".
In Gesù avviene uno squarcio di cielo e qualcosa della sua futura condizione di risorto glorioso appare a se stesso e agli apostoli, che ne rimangono rapiti: "É bello per noi stare qui, facciamo tre tende". Pietro, Giacomo e Giovanni saranno quei medesimi apostoli che dovranno incontrare Gesù al Getsemani, stravolto dal dolore dell'agonia. Avevano bisogno di scoprire in anteprima qualcosa della "gloria" nascosta entro quell'umanità fragile e perseguitata di Gesù per poter sopportare poi lo scandalo della croce.
Pietro capirà più avanti il significato di quell'esperienza sul monte che tanto l'aveva affascinato, e così scrive in una sua lettera: "Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: questo è il mio figlio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Questa voce noi l'abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte" (2Pt 1,16-18). Testimone appunto della "gloria dell'Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità" (Gv 1,14).

2) IL MISTERO

Il prefazio della messa di oggi chiarisce perché la Chiesa vuol riproporci questo mistero: "Cristo rivelò la sua gloria e nella povertà della comune natura fece risplendere una luce incomparabile. Preparò così i suoi discepoli a sostenere lo scandalo della croce, e anticipò nella trasfigurazione il destino mirabile di tutta la Chiesa, sua sposa e suo corpo, chiamata a condividere la sorte del suo Capo e Signore". Si parla del destino della Chiesa, cioè di noi, di una nostra esperienza della Trasfigurazione, anzi di una Trasfigurazione anche per il nostro corpo.
Quando l'uomo cerca di pensare i rapporti tra Dio e il mondo, spesso oscilla tra due scelte contrastanti. Una concezione pessimista, dove dice: è necessario che l'uomo muoia, il mondo finisca per vedere Dio; una ottimista che dice: è questo mondo il Regno di Dio, non c'è da aspettarsene un altro. Si valorizza l'uomo e il mondo a scapito di Dio. Invece vi è una terza concezione, quella appunto trasfigurativa, che si può formulare così: sì, la carne è buona, sì, il corpo è voluto da Dio, sì, il mondo è divino, ma esso ora non è semplicemente che una "immagine"; per essere veramente buono, per raggiungere la sua riuscita, non dovrà essere distrutto, ma trasfigurato, trasformato profondamente cioè con una luce che viene dal suo interno.

Tra i monaci d'Oriente si usa dipingere le iconi. Quando un nuovo discepolo ha terminato la scuola d'iniziazione all'icona, passa un esame: deve dipingere una Trasfigurazione per saper mostrare un uomo che riverberi lo splendore divino. Questa è esattamente l'immagine sintetica della esperienza cristiana: trasfigurare, trasformare gradualmente la nostra umanità in divinità. Si tratta di una progressiva divinizzazione, una conformazione sempre più profonda a Cristo per divenire con Lui partecipi alla gloria. Scrive san Paolo: "Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima sua immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2 Cor 3, 18).

Oggi - come qui è avvenuto per Gesù - abbiamo bisogno di un anticipo di conoscenza di quella trasfigurazione e di quel destino che toccherà anche a noi, una intuizione sicura, dataci nella fede: al di là della sofferenza e della morte ci aspetta un destino di cielo. Anche "questo nostro corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo corpo mortale si vestirà di immortalità" (1Cor 15,54); perché " se lo Spirito di Colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in noi, Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche ai nostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in noi" (Rm 8,11). E' l'esodo definitivo dalla condizione mortale a quella celeste.

Quando il nostro pellegrinare di uomini diventa faticoso, quando la morsa di qualche dolore o delusione ci sconforta..., come sentiamo forte il bisogno di questa intuizione di fede, di questo sguardo sul nostro futuro di gloria, simile a quello di Gesù, primizia e promessa d'un nostro medesimo destino!
E' quanto ci è dato nella preghiera, è quanto chiediamo nella celebrazione di questo mistero, è quanto veniamo ad alimentare in noi ogni domenica aprendoci alla Parola di Dio, che è "come lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei nostri cuori"; e a nutrirci di questo cibo di immortalità che è l'Eucaristia, pegno e anticipo di resurrezione e di vita eterna, già posseduta da Gesù, a cui sia onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.