Omelia (14-08-2006)
Monaci Benedettini Silvestrini
Gesù, il Figlio di Dio

La prima parte di questo vangelo la si comprende bene, è il secondo dei tre annunzi della passione, sappiamo la profondità teologica che questi hanno nei sinottici, ma la seconda parte, quella del tributo e della moneta nella bocca del pesce ci è difficile afferrarla, stentiamo ad immaginarci una storia che sembra uscita da un libro di fiabe. I commenti che si trovano su tale pericope sono tutti improntati a rapporti cristiano e stato, chiesa e società, pagare o meno le tasse non provocando scandalo, all'essere, insomma, buoni cristiani e bravi cittadini. Cose queste che hanno una loro bontà e che pur giuste, non mettono tuttavia in evidenza il fatto che Gesù qui sta nuovamente proclamando la sua divinità. Le applicazioni pratiche non dovrebbero mai far perdere di vista che i vangeli sono stati scritti non come una istruzione morale ma come un'opera catechetica atta a far comprendere il fondamento della fede, il quale risiede nella proclamazione del Cristo vero Figlio di Dio, uguale al Padre nella sostanza, e che è morto ed è risorto. Tale realtà, al tempo in cui l'evangelista scrive aveva trovato il suo compimento e la sia pur breve tradizione di allora cercava di metterla in risalto. Allora, ciò che deve spiccare è il breve discorso di Gesù e non certo la conclusione, che pur avendo un suo valore didattico, non ha certamente la portata delle parole di Cristo, che si proclama, Figlio di Dio e uguale al Padre.