Omelia (24-10-2003) |
padre Lino Pedron |
Commento su Luca 12, 54-59 Il lamento che Gesù rivolge all'uomo di tutti i tempi e allo stesso credente, è motivato dal fatto che non mette uguale impegno e diligenza per scoprire i segni del tempo della salvezza quanto ne impiega per prevedere il tempo meteorologico. Dio parla all'uomo attraverso la voce della sua coscienza, attraverso la voce dei suoi inviati, ma anche, e soprattutto, attraverso gli sviluppi e gli eventi della storia. Questi ultimi sono i più trascurati ma, in realtà, sono i più sicuri. Gesù richiama i suoi ascoltatori a questa ottica. Bisogna essere più perspicaci e più attenti. Le parole possono ingannare, i fatti, meno. Il tempo di Gesù era il momento culminante della salvezza, perché segnava la fine dei mali fisici e morali, delle oppressioni umane e diaboliche: non potevano esserci dubbi che qualcosa di nuovo stava incominciando nella storia umana. La teologia dei segni dei tempi trova il suo inizio in questa breve affermazione di Gesù, ma dopo tanti secoli è ancora così poco capita e vissuta. Conosciamo bene ciò che è utile alla nostra vita animale, ma non ciò che è necessario per la nostra vita eterna. Le liti e le vertenze giudiziarie fanno parte della storia dell'uomo e quindi anche del cristiano. Il litigare è una cosa contraddittoria con il comportamento cristiano. Il vangelo non pretende che il cristiano rinunci ai suoi diritti, ma segnala un modo più pratico e ragionevole per farli valere, tentando un accordo tra le parti (v.57). Per capire chi ha torto o ragione basta un po' di testa e di buona volontà. Spesso le rivendicazioni nascono dal puntiglio e dall'orgoglio più che da veri torti subiti. Mettendo a tacere le passioni sregolate, distaccandosi dal proprio io, dalla propria permalosità e arroganza da ambo le parti, si può risolvere qualunque vertenza. Il ricorso al giudice umano non è detto che sia la via più garantita e più sicura per arrivare a una giusta soluzione. Spesso i verdetti non sono emessi secondo verità o diritto, ma in base alla capacità dialettica, alle manipolazioni della legge e ai cavilli per aggirarla e capovolgerla. Da questa pagina evangelica nasce una profonda sfiducia nella categoria degli avvocati e dei giudici, che è quasi abituale nella predicazione dei profeti (cfr Am 5,10-15; Mi 3,1-4; 7,3; Is 1,26; Sof 3,3; ecc.). La sentenza assolutoria o la condanna non scaturiscono, spesso, dall'innocenza o dalla colpevolezza, ma dalla fortuna o dalla sfortuna di aver avuto un difensore più o meno abile. La finale è pessimistica. Una volta presa la via dei tribunali, la conclusione è sempre una: il carcere. Si è litigato per avere ragione, si finisce per avere torto. Con la venuta di Gesù è giunto il momento della decisione. Ognuno è colpevole davanti a Dio. Si deve approfittare del tempo che precede il giudizio per sfuggire all'inflessibile procedura del giudizio per mezzo della penitenza, della conversione e della riconciliazione con il fratello, prima che sia troppo tardi. |